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Ferrario: un passo che ha bisogno di tempo per essere valutato

Nel 1999 veniva siglato il Consenso cattolico-luterano sulla giustificazione, non senza alcune polemiche: più di 100 docenti di parte luterana manifestarono dissenso. Ciononostante quel documento (pubblicato poi dall’editrice Claudiana, a cura di F. Ferrario e P. Ricca, 1999) è diventato un punto di svolta nella storia delle famiglie di chiese protestanti. Ora che al Consiglio mondiale della Comunione mondiale di chiese riformate (Wcrc, già Alleanza riformata mondiale) è stata siglata l’adesione delle chiese riformate a questo testo, ne parliamo con Fulvio Ferrario, professore di Dogmatica e discipline affini, e decano della Facoltà valdese di Teologia, cominciando proprio dalla polemica che si sviluppò in ambiente accademico nel 1998.

«Si è trattato di un dibattito soprattutto tedesco – ci dice –. Il suo carattere piuttosto aspro è stato determinato da diversi fattori. Per fare solo qualche esempio: 1) la categoria di «consenso differenziato» si presta bene all’alternativa tra il “bicchiere mezzo pieno” e quello “mezzo vuoto”; soprattutto, essa è fatalmente esposta al sospetto di ambiguità, cioè di spacciare come consenso quanto non lo è o non lo è fino in fondo; 2) Una certa teologia iperluterana tende innervosirsi appena crede di vedere messa in discussione la purezza del verbo del Maestro; più in generale, il tipo di protestantesimo preoccupato per possibili derive “filocattoliche” (quello italiano, ad esempio) si è un poco inquietato. 3) La Dichiarazione congiunta intende rimuovere ostacoli di dottrina nati nel Cinquecento e di conseguenza finisce per adottare un linguaggio molto tecnico e, almeno apparentemente, lontano dalle questioni attuali. Tutto ciò ha generato insoddisfazione o almeno perplessità. Un testo del genere difficilmente accontenta tutti a prima vista: ha bisogno di tempo. Bisogna aggiungere che anche fattori non proprio ecclesiali, come le contrapposizioni accademiche e personali nell’ambiente teologico tedesco, hanno svolto un ruolo. Nel frattempo, abbiamo capito che il testo costituisce un tentativo onesto di risolvere problemi di dottrina importanti, ma che oggi vanno inquadrati in una prospettiva completamente diversa rispetto a quella dei secoli della controversia. Personalmente non amo la moltiplicazione degli aggettivi iperbolici (storico, epocale ecc.). Diciamo che è un testo importante».

L’adesione della Wcrc arriva a circa vent’anni di distanza: che cosa motiva questo lungo tempo?

«Non sono bene informato sulle ragioni di un’adesione così tardiva (V centenario a parte). Essa è stata preceduta, qualche anno fa, da quella delle chiese metodiste. Da un lato, l’allargamento degli spazi di consenso è sempre un fatto positivo; dall’altro il metodo di sottoscrivere accordi bilaterali per poi allargarli ad altri non mi convince per nulla. Esso rischia, nei fatti, di spostare il baricentro ecumenico sempre più “a destra”, per così dire. Si tratta però di una preoccupazione di ordine generale, che non intende valutare negativamente questo specifico episodio».

Il testo di adesione al Consenso, da parte della Wcrc, sottolinea il legame tra giustificazione e giustizia: che cosa si può dire in proposito?

«I temi della giustizia stanno particolarmente a cuore alla Comunione di chiese riformate, e dunque si tratta di una sottolineatura che non stupisce. Resta il fatto che la Dichiarazione congiunta è un tipico documento dottrinale “vecchio stile”, se così si può dire, concentrato su problematiche intraecclesiali. Il rapporto tra giustificazione e dimensione politica della giustizia è un tema centralissimo, che andrebbe sviluppato con ampio respiro e sul quale, appunto, la tradizione riformata si è mostrata, anche nella storia, più creativa di quella luterana, che non sempre è stata esente dalla tentazione di separare i due ambiti».

È difficile pensare alla firma avvenuta il 5 luglio prescindendo dal 500° anniversario dell’avvio della Riforma. Questo evento si inscrive nella logica della ecclesia semper reformanda?

«Direi che intende mostrare, anche simbolicamente, una fondamentale unità del protestantesimo sul tema della giustificazione».

Alla misericordia di Dio è stato dedicato un Giubileo cattolico; e ora il tema viene affrontato anche da uno studioso laico come Gian Enrico Rusconi, che si chiede in un recente libro, a proposito della teologia di papa Francesco: ma se Dio è così misericordioso, che valore ha l’idea di peccato originale? Che cosa si può dire di questo rinnovato interesse per un tema eminentemente luterano?

«Distinguerei i due punti. Per quanto riguarda la misericordia, tutto bene. Purché non mi si venga a raccontare che la centralità della grazia di Dio è stata scoperta da Francesco. Diciamo piuttosto che Francesco e il giubileo hanno aiutato ad apprezzare meglio la varietà dei linguaggi neotestamentari della grazia: misericordia, giustificazione, amore, sono registri diversi per annunciare e celebrare la amazing grace del Padre di Gesù. Per quanto riguarda Rusconi, mi limiterei a questo: se le chiese, ad esempio quella evangelica, liquidano temi come quelle menzionate da Rusconi mediante lezioncine, superficiali e supponenti al tempo stesso, di esegesi elementare o di storia del dogma, che nemmeno scalfiscono la superficie del problema, oppure mediante appelli infinitamente banali all’attualità o alla concretezza (come se la fede fosse arcaica o astratta), finisce che ne parla qualcun altro, a volte con pertinenza, più spesso senza. Intendiamoci: sia la critica storica sia l’immersione nelle sfide di oggi sono essenziali; solo, vanno esercitate e vissute in prospettiva teologica, cioè ecclesiale».

Immagine: Photo: WCRC / Anna Siggelkow