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La Forza non ci appartiene

Abbiamo chiesto al pastore Peter Ciaccio, autore nel 2015 con il pastore  Andreas Koehn de “Il vangelo secondo Star Wars”, edito da Claudiana, un commento sull’ottavo episodio dell’ epopea di Guerre Stellari, uscito in questi giorni nelle sale:

Bello, emozionante, divertente e capace di sorprendere: questa è in sintesi la prima reazione davanti all’ottavo episodio della saga di Guerre Stellari. Appare subito migliore del precedente “Il risveglio della Forza” (2015), eppure al tempo stesso aiuta a comprendere la necessità di quell’operazione-fotocopia che a diversi aveva fatto storcere il naso.

L’episodio precedente, infatti, presentava un canovaccio pressoché identico al primo film della saga ideata da George Lucas nel 1977: persone dalla vita banale che diventano eroi ed eroine che combattono un malvagio impero dotato di una gigantesca arma di distruzione di massa. Alcuni dettagli, però, lo rendevano interessante: per la prima volta la Forza entrava nel titolo, per la prima volta il ruolo di guerriero non era relegato solo a personaggi maschili — addirittura la principessa Leia veniva promossa a “generale Leia” —, per la prima volta il cattivo non era uno diventato tale per una fantomatica volontà del destino —che noia! —, ma per volontà propria.

Tutti questi dettagli sono la struttura del canovaccio di “Star Wars: Gli ultimi Jedi”. A questi si aggiunge una preziosa riflessione sul valore pedagogico del fallimento, a qualunque età e qualunque ruolo si rivesta. Soprattutto, però, il tema che debutta nella saga è la concezione religiosa anti-idolatrica: sei tu che possiedi la Forza o non è forse la Forza che possiede te? Solo una seria spiritualità anti-idolatrica permette di riporre speranza non in un uomo o in una donna o in una famiglia o in una comunità religiosa, ma nella Forza stessa. Ecco perché “Gli ultimi Jedi” apre al futuro della saga, rendendola potenzialmente inesauribile, come era nelle intenzioni della Disney, proprietaria del marchio Star Wars e artefice della ripresa di una storia che sembrava essersi conclusa anni fa.

È da sottolineare, poi, il debutto nella saga di grandi interpreti quali Laura Dern e Benicio Del Toro e un uso dei colori veramente impressionante, in particolare nelle scene girate sul pianeta le cui rocce, ricoperte di neve bianchissima, sono rosso-sangue. Soprattutto, però, colpisce una sceneggiatura che mai aveva mostrato un registro così ampio: il buffo e faceto diventa demenziale, al punto da ricordare l’insuperata parodia della saga “Balle spaziali” (di Mel Brooks, 1987), e il serio si fa importante e commovente.

Unico vero spoiler tra queste righe: “Gli ultimi Jedi” è il film di Luke Skywalker, personaggio mai esplorato prima con questa profondità. Il mito degli anni ’70, ucciso freudianamente insieme a Han Solo e allo stesso George Lucas da parte dell’autore JJ Abrams in “Il risveglio della Forza”, si riscatta, come se, solo demitizzato— o, direbbe un protestante, solo se prende consapevolezza del proprio peccato — l’essere umano potesse aspirare a diventare qualcosa di più alto.