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Il fluire del tempo e il senso dell’eternità

Nella conversazione fra i due protagonisti del Dialogo di un venditore di almanacchi (cioè di calendari del nuovo anno) e di un passeggere, Giacomo Leopardi (il passeggere è lui) esprime il suo pensiero: la natura (ricordate l’altro Dialogo leopardiano Della natura e di un islandese?) non si preoccupa degli esseri umani, e l’unico aspetto positivo del nostro vivere non consiste in un’irraggiungibile felicità, ma nella speranza che ci illude che il futuro sia migliore del passato. È però appunto solo un’illusione, com’è provato dal fatto che, se amiamo ricordare il passato, non vorremmo però mai riviverlo come l’abbiamo vissuto. «Questo – ricorda il passeggere al venditore – è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male». E, proseguendo con sottile ironia: «Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?». Il venditore di almanacchi, che non coglie l’ironia del passeggere, gli risponde con un sincero ed ottuso «Speriamo». La consapevolezza dolorosa della condizione umana è solo di chi non ha paura di meditare a fondo sulla vita.

Siamo anche noi all’inizio di un nuovo anno, compriamo anche noi i nostri «almanacchi», e ci scambiamo gli auguri. Che pensare del passeggere del Dialogo, che ci ricorda che ogni anno è uguale all’altro e la felicità è solo un’illusione? È il classico «pessimismo leopardiano», o non piuttosto la presa d’atto di come stanno realmente le cose?

La Bibbia dice qualcosa su tutto questo? E, se sì, che cosa? C’è, in Ecclesiaste 3, 1ss., una pagina che sembra pensarla come Leopardi. È il celebre testo «dei tempi e dei momenti»: «Per tutto c’è il suo tempo, c’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo: un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato; un tempo per uccidere e un tempo per guarire, ecc.». La vita umana è un puzzle senza senso, un rompicapo di contraddizioni assurde che non ci rendono felici.

E però, dopo avere dipinto «i tempi e i momenti» della vita che con il loro inarrestabile fluire ci si portano via, l’Ecclesiaste coglie in noi la presenza di qualcosa che non dovrebbe esserci, ma c’è. Scrive infatti, senza nascondere il suo stesso stupore: «Dio ha perfino messo nei cuori il pensiero dell’eternità». Noi ci portiamo dentro un’intuizione di infinito che ci dice che non precipitiamo verso il nulla, e insieme però la consapevolezza che quel «pensiero dell’eternità», che pure è nostro, non c’è dato di conoscerlo appieno. Perché Dio, che quel pensiero ce l’ha messo nel cuore, ha fatto sì che «non possiamo comprendere dal principio alla fine l’opera che egli ha fatta». Puoi meditare una vita, alla fine arriverai alla conclusione (che non è troppo diversa da quella di Leopardi) di quell’antico saggio: «La mia mente è penetrata nella sapienza e nella scienza, nella follia e nella stupidità, ed ho capito che anche questo è vanità. Infatti, grande sapienza è grande tormento, e chi più sa più soffre» (1, 17-18).

Pure, rimane in noi quell’intuizione «dell’eternità» che, se contribuisce a renderci infelici perché ci impedisce di accettare la «naturalezza» della vita e della morte, è la nostra grandezza. Siamo fatti così. O meglio – dice l’Ecclesiaste – Dio ci ha fatti così, perché «gli uomini lo temano». È il «timore di Dio», che non è mai paura, ma è rispetto e insieme sollievo: «Ho riconosciuto che tutto quel che Dio fa è per sempre: niente c’è da aggiungervi, niente da togliervi» (3, 14).

I nostri tempi scorrono e ci si portano via. Ma attorno a noi l’opera dell’Eterno resta stabile. Un muro di difesa che nulla può intaccare, e ci consente di vivere la serenità di chi si sa protetto: «Io ho riconosciuto che non c’è nulla di meglio del rallegrarsi e del procurarsi del benessere durante la vita, ma che se uno mangia, beve e gode del benessere in mezzo a tutto il suo lavoro, è un dono di Dio» (Ec 3, 13). Alla luce di questa protezione, ha senso scambiarci gli auguri di Buon Anno.