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Per la prima volta donne saudite alla partita di pallone

Tra pochi giorni, esattamente il prossimo 12 gennaio, le donne per la prima volta nella storia del regno ultraconservatore sunnita potranno entrare in uno stadio per vedere una partita di pallone. In una nota diffusa dal ministero dell’Informazione, i vertici del governo hanno fatto sapere che «il primo match cui potranno assistere le donne sarà Al-Ahli contro Al-Batin» e si disputerà nella capitale Riyad. Le autorità saudite hanno inoltre annunciato che le donne, assieme alle loro famiglie, potranno guardare dal vivo anche una seconda sfida che si terrà a Jeddah sul mar Rosso il giorno successivo, e una terza partita di campionato il prossimo 18 gennaio nella cittadina orientale di Dammam.

La principessa Reema Bandar Bint Al Saud, responsabile per le donne dell’Autorità sportiva nazionale, è stata fra le prime personalità femminili a commentare la decisione. Sul suo profilo Twitter ha espresso soddisfazione, sottolineando che «gli impianti sportivi in Arabia Saudita apriranno le loro porte nel 2018 per accogliere le donne», e aggiungendo che sono in corso i preparativi per assicurare che gli stadi siano in grado di accogliere intere famiglie.

Secondo le prime indiscrezioni si prevede una partecipazione massiccia di donne alle partite, proprio per sfruttare fin dall’inizio questa nuova opportunità in vista di una sempre maggiore libertà femminile. In Arabia Saudita, l’applicazione di una versione rigorosa dell’Islam sunnita (wahabita) impone alle donne molte restrizioni alle libertà e ai diritti sociali. Solo negli ultimi anni ci sono state timide aperture: nel 2011 re Abdullah bin Abdul Aziz ha stabilito la possibilità per le donne di candidarsi ed eleggere le proprie rappresentanti (diritto di voto attivo e passivo esercitato dalle donne per la prima volta nel 2015 nell’ambito delle elezioni municipali). Il re ha inoltre concesso alle donne di soggiornare negli hotel senza una lettera del coniuge, decisione che ha reso più facile spostarsi per affari; ha nominato la prima donna vice ministro; ha aperto la prima università mista e ha eliminato i commessi maschi dai negozi di intimo da donna e nelle profumerie.

Morto Abdul Aziz, gli è succeduto nel gennaio 2015 il fratellastro Mohammed bin Salman, che ha mantenuto le concessioni del suo predecessore, promuovendo un piano di «modernizzazione» a più ampio respiro, nel contesto del programma chiamato «Visione 2030».

A febbraio 2017 il Consiglio di amministrazione degli operatori di borsa, che riunisce rappresentanti della Banca centrale e dei ministeri delle Finanze e del Commercio, hanno eletto alla presidenza della Borsa saudita una donna, Sarah Al-Souhaimi.

Il 23 settembre scorso, per la prima volta, le donne hanno potuto accedere insieme alle loro famiglie (in un settore separato da quello che ospitava gli uomini soli) allo stadio «re Fadh di Riyadh», in occasione dello spettacolo musicale e poetico dedicato all’87ma festa nazionale del regno saudita. E qualche giorno più tardi è arrivata l’abolizione del divieto di guidare: con la nuova legge che entrerà in vigore il prossimo giugno le donne saudite potranno finalmente guidare. Nel corso degli anni diverse saudite hanno sfidato la norma finendo arrestate e multate (la pena per l’infrazione era di 10 frustate).

Nonostante questi importanti traguardi, frutto delle proteste delle attiviste e delle pressioni da parte della comunità internazionale, permangono ancora dure limitazioni alle libertà femminili: le saudite devono coprire capelli e corpo in pubblico, e non possono viaggiare o ricevere cure mediche senza il permesso di un parente di sesso maschile (in genere padre, marito o figlio). Nel Global Gender Gap 2016, redatto dagli esperti del Forum economico mondiale, l’Arabia Saudita occupa il 141mo posto su 144 nazioni per parità di genere. Il divario fra i due sessi è ampio e le donne saudite hanno ancora tanto per cui lottare.