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Seguire Gesù «nell’insanabile nostra debolezza»

Tratto da chiesavaldese.org

La Tavola Valdese ha inviato alle comunità locali, per un esame approfondito, un documento riguardante il confronto ecumenico, in particolare con il cattolicesimo. Il documento, redatto dalla Commissione consultiva per le relazioni ecumeniche delle chiese valdesi, metodiste e battiste in Italia, fa seguito a quello approvato dal Sinodo del 1998 “L’ecumenismo e il dialogo interreligioso”. Trattandosi di un documento congiunto valdese, metodista e battista gli esecutivi delle rispettive chiese decideranno, sulla scorta dei pareri raccolti, le modalità di approvazione del testo da parte delle loro assemblee decisionali.

Del documento, recentemente tradotto anche in inglese, abbiamo parlato con il professor Fulvio Ferrario, coordinatore della Commissione consultiva per le relazioni ecumeniche.

Che senso ha parlare di ecumenismo in un tempo di disaffezione alla fede, in cui le chiese non sembrano più essere capaci di intercettare il bisogno di senso delle persone?

I protestanti italiani sono una minoranza, che testimonia l’evangelo, nella comprensione della Riforma, in un paese largamente determinato da altre tradizioni cristiane, altre culture, altre tradizioni. Basterebbe questo per collocare la nostra predicazione e la nostra vita ecclesiale in un contesto che definirei “spontaneamente ecumenico”.

Papa Francesco sembra privilegiare il linguaggio dei gesti più che lo scambio dottrinale. Il dialogo non rischia di risentirne e su quali punti il confronto è più urgente?

L’ora viene, e forse è già venuta, nella quale i gesti rischiano di incidere meno del dovuto se non sono accompagnati da alcune parole: se definirle «dottrinali» spaventa, e posso capirlo, diciamo «ecclesiali». I temi urgenti sono stati ricordati dal moderatore della Tavola Valdese nel corso della visita di Francesco a Torino (giugno 2015): riconoscimento ecclesiale delle chiese evangeliche, forme di condivisione dell’eucaristia – Cena del Signore; aggiungerei il dialogo sui dissensi «antropologici ed etici», come giustamente li ha chiamati il pontefice.

Oggi il vero terreno divisivo sembra essere l’etica. Qui il rischio di un ripiegamento identitario e di contrapposizione è molto forte. Come si può evitare questa trappola?

Credo che dobbiamo essere molto esigenti nei confronti di noi stessi anzitutto, e poi delle sorelle e fratelli cattolico-romani.

Per quanto ci riguarda, dovremmo superare la tentazione di comportarci come se fossimo gli unici a riflettere sui grandi temi etici, dalla sessualità al fine vita. Ci piace ripetere che «non abbiamo soluzioni prefabbricate» (magari sottintendendo che altri pretenderebbero di averle), ma in effetti incontriamo difficoltà a prestare la dovuta attenzione a voci diverse dalla nostra: quelle cattoliche certamente, ma in qualche caso anche quelle di altre chiese protestanti in Europa. Abbiamo bisogno di ascoltare di più.

Alla chiesa cattolica chiediamo di prendere sul serio il fatto che le nostre scelte (comprese quelle ritenute scandalose; compreso il sostegno alla legge 194, che qualcuno continua ad associare al vocabolario dell’«omicidio»; comprese le benedizioni delle coppie omoaffettive) nascono in una ricerca di fedeltà a Gesù. Ci rendiamo conto che proprio questo appello alla fede suona disorientante per chi è abituato a modelli di pensiero radicalmente diversi. Osiamo pensare, tuttavia, che anche i nostri fratelli e le nostre sorelle potrebbero scoprire, in questo difficile confronto, prospettive inattese. Occorre pazienza e fiducia reciproca. «Nell’insanabil nostra debolezza» vogliamo seguire Gesù. Se, reciprocamente, ci riconosciamo almeno questa volontà, allora il dialogo può partire anche sui temi più spinosi.

L’ecumenismo è qualcosa che riguarda anche i rapporti tra le chiese appartenenti all’evangelismo italiano. A che punto siamo su questo fronte?

Per quanto riguarda i rapporti tra le chiese storiche, il documento indica anzitutto piste di lavoro per il futuro. E’ possibile compiere passi ulteriori nel dialogo tra Battisti, Metodisti e Valdesi, dopo il documento del 1990? Dopo ventisette anni, non sarebbe troppo presto… Anche con la Chiesa luterana si potrebbe fare di più. E’ vero che i rapporti sono ottimi, ma a volte sembrano, se è lecito dirlo, di ottimo vicinato, più che di quotidiana comunione.

In una società sempre più multiculturale come è quella attuale, quali influenze subisce la pratica ecumenica?

Per molti aspetti, questo è il punto cruciale, la grande sfida del XXI secolo. Il dialogo più impegnativo, spesso, non è tra confessioni diverse, ma tra diverse culture e le differenze sono trasversali rispetto alle appartenenze ecclesiali. Il documento tematizza questo punto e azzarda alcune riflessioni. Devo dire, tuttavia, che tutti, in Europa e non solo, siamo, su questo, all’ABC. Il solo fatto di prendere atto di questo mutamento, relativizzando drasticamente il peso dell’ecumenismo «interconfessionale», a favore di quello «interculturale» sarebbe un contributo non piccolo. Non sono sicuro però che le chiese (le nostre e le altre) siano in grado di offrirlo.

 

Foto di Pietro Romeo