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Cinisello, la scuola e il legame con gli operai

Quinto articolo della serie dedicata al 1968 nelle chiese evangeliche italiane. Dopo Marco Rostan sulla stagione dei manifesti e dei volantini, dopo il direttore del Servizio Cristiano di Riesi Gianluca Fiusco sul ’68 in Sicilia, e dopo Renato Maiocchi su Agape, dopo Aldo Comba e il ricordo del Sinodo del 1968, oggi è il turno dei ricordi del pastore Giorgio Bouchard sull’esperienza del Centro Lombardini di Cinisello Balsamo, un’esperienza nuova per la chiesa, una sfida vinta.

Un ’68 particolare: con Giorgio Bouchard, il pastore valdese che lanciò con il suo gruppo la comune e il Centro «J. Lombardini» a Cinisello Balsamo, cerchiamo di capire quali ne siano state le linee portanti.

«Dobbiamo fare un passo indietro – ci dice nella casa torinese, dove vive la propria emeritazione circondato dai libri –: un pronunciamento del Sinodo valdese del 1966, poi ribadito dalla ferma convinzione del moderatore Neri Giampiccoli, indicava che si desse vita a una nuova occasione di testimonianza evangelica nella periferia di Milano, dove forte era la presenza operaia e il numero di residenti attratti da occasioni di lavoro aumentava assai rapidamente. E fu giusto pensare non al capoluogo, ma all’hinterland». Quello che arrivò dal moderatore Giampiccoli era un «mandato molto aperto»: così racconta Bouchard alla moglie Piera Egidi nel libro Un ragazzo valdese. Dialoghi di una vita (Claudiana, 2012): un’indicazione di questo genere significava da un lato grande fiducia nelle capacità della sua persona, ma anche la consapevolezza che era il momento di tentare qualcosa di inedito, a costo di non saper bene dove potesse portare.

«Il moderatore mi disse “vacci con la tua famiglia”, e così sorse il primo gruppo, da subito con Paolo Bogo e Marcella Giampiccoli. Si sono raccolti dei giovani intorno a questo progetto, ma altri avevano 40 anni e anche più. Dopo una prima sistemazione provvisoria, si potè dapprima affittare un alloggio poi acquistato grazie a un finanziamento di alcune chiese sorelle della Germania. Cinisello si prestava bene a questa idea, era luogo di forte immigrazione dal Sud, c’erano tensioni sociali; la maggioranza, nel Comune, ruotava intorno all’asse Pci-Psi, e tuttavia potemmo avere una buona collaborazione con le Acli. Il sindaco socialista ci accolse con un discorso fieramente anticlericale e anticattolico, ma noi dovevamo fare testimonianza dell’Evangelo. Fu invece di Giorgio Rochat, fin dall’inizio, l’idea di una scuola serale come modo migliore per parlare alla città. I mezzi erano quelli di allora: ci facevamo conoscere attaccando per le strade i volantini che annunciavano le nostre iniziative. Quanto alla comune, qualcuno dovette immaginarsela come un luogo di “libero amore”, mentre era più che puritano… Invece con la scuola possiamo dire di avere anticipato delle modalità che si sarebbero affermate qualche tempo dopo, a partire dalle “150 ore” come diritto dei lavoratori a proseguire i loro studi, e quando si trattò di trovare un nome per la scuola, venne naturale pensare a colui che, educatore a Torre Pellice durante la guerra, era stato in qualche modo padre del mio antifascismo».

Dunque il «1968 di Cinisello» è stato in realtà più che altro un «1969 con gli operai»…: «Di studenti ne vedevamo pochi – prosegue Bouchard – i più ideologici vedevano in noi protestanti l’emblema del potere degli Usa e della Germania: figuriamoci… Invece gli operai interessati a prepararsi per l’esame della licenza media erano molti. Con il ’68 ci fu un rapporto critico, molto più organico quello con la classe operaia di allora». L’altra grande e importante esperienza sarà poi quella messa in opera su iniziativa del pastore Guido Rivoir, allora a Lugano, di accoglienza di profughi scampati al golpe cileno del 1973: un’occasione, anche questa, di testimonianza, ma soprattutto un impegno che contribuì a salvare delle vite. Ma questa è un’altra storia.