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A fianco del marito o a fianco della comunità?

Marie-France Maurin Coïsson ha affrontato in questo libro* un argomento su cui finora nessuno e nessuna aveva mai fatto ricerche. R. Bainton nel suo Donne della Riforma (Claudiana, 1992) presenta diverse biografie di mogli di riformatori ma senza soffermarsi sull’analisi di questo ruolo del tutto inedito. Si cita nel nostro libro Marie Dentière, storica e teologa ginevrina all’epoca della Riforma, unico nome di donna inciso sul muro della Riforma di Ginevra nel 2002. Di lei, moglie di pastore «recidiva» (vedova del primo, ne sposa un secondo) nella documentazione del Museo delle donne valdesi troviamo una interessante testimonianza. Rivolgendosi a un gruppo di monache per convincerle a passare alla Riforma dice: «… povere creature se sapeste quanto bene fa aver vicino un bel marito e quanto Dio vede questo come giusto…». Ci dice molto questo avere vicino un bel marito e non essere vicina a un bel marito. Il soggetto è la donna di cui il marito è un sostegno e non viceversa.

A quei tempi, eliminato il culto di Maria e delle sante, sparite le monache e le suore, la moglie di pastore diventa l’unico modello femminile. Le coppie pastorali erano quasi sempre formate da ex preti o frati e ex suore o monache; potrebbe essere interessante studiare questo passaggio da due vocazioni individuali a una «vocazione di coppia».

Nel libro in esame si prendono in esame le mogli di pastori valdesi tra Otto e Novecento di cui si è potuto trovare in archivio lettere o diari o che sono state intervistate dall’autrice. L’interesse particolare di questo periodo è che narra il percorso del progressivo ridimensionamento del ruolo di «moglie di pastore» (e non moglie «del» pastore, come ci fa notare l’autrice).

Ci dice Marie-France Maurin che spesso i pastori valdesi sposavano delle straniere, oppure donne della borghesia locale o figlie di contadini agiati. Avevano molti figli e spesso una domestica o una ragazza «alla pari». Di fatto vivevano una sorta di assimilazione al pastorato, con un ruolo riconosciuto e rispettato che poteva essere gratificante per una donna che non aveva altro ruolo sociale. Alcune, in assenza del marito, lo sostituivano in tutti i suoi compiti, a volte persino nella predicazione. Nella corrispondenza con Il Comitato di evangelizzazione, consultata da Maurin Coïsson si trovano a volte lamentele e contrasti nei due sensi: richiami a mogli che si prendono troppa iniziativa e proteste di altre per le situazioni difficili che devono affrontare come traslochi troppo frequenti, anche se si respira in questa corrispondenza forte senso di responsabilità e condivisione vocazionale.

Nella seconda metà del secolo scorso le cose cominciano a cambiare. Le donne casalinghe sono sempre più rare: le consuetudini, e le leggi della Repubblica italiana, aiutano le donne a liberarsi dal ruolo subalterno al marito e il femminismo apre un vivace dibattito sul ruolo della donna nella società. Compaiono le donne pastore e, come si nota nel libro, nessuno si pone il problema di quale collaborazione «pastorale» si debba richiedere ai loro mariti.

Nelle numerose interviste pubblicate nel libro si leggono pareri diversi e variegati.

Eccone alcuni: «Non sono mai stata pagata e raramente ringraziata (salvo poi scoprire a posteriori la gratitudine della gente)…»; «Il primo impatto spiacevole con la chiesa valdese è stato quando, al nostro rientro in Italia da un lungo periodo all’estero (…) il giorno della presentazione il presidente del Sinodo si è rivolto a noi, ma ha chiamato a parlare solo mio marito, lasciandomi mortificata seduta al mio posto…»; «Una volta una signora con un leggero disprezzo disegnato sul volto mi ha detto: “Ma tu non sembri proprio una moglie di pastore”. E la mia risposta istintiva è stata: “Grazie è il più bel complimento che mi potevi fare!”».

Col passar degli anni sempre più le donne si sono impegnate nella chiesa senza esser mogli di pastori, spesso con professionalità acquisite nel proprio lavoro esterno (insegnanti, psicologhe, infermiere, musiciste, bibliotecarie, cassiere, ecc.) e molte mogli dei pastori collaborano nel tempo libero, come chiunque altra, alle attività della chiesa. Le interviste riguardano solo le mogli di pastore non più in attività, manca quindi una ricerca sull’ultima generazione, ma sembra evidente che questo ruolo stia gradualmente scomparendo. Forse è solo l’inevitabile conseguenza di tempi diversi in cui il ruolo della donna è cambiato.

La chiesa si colloca nel mondo. Inevitabilmente è parte della cultura del tempo in cui vive. L’autrice ci tiene a segnalare che il ricavato della vendita del libro è destinato a un progetto della Federazione femminile evangelica valdese e metodista (Ffevm) a favore di bambine e bambini vittime di femminicidio (madre morta, padre in prigione).

* Marie-France Maurin Coïsson, Hanno inventato come vivere al presbiterio… e poi…. Iniziativa a cura della Ffevm, 2017, pp. 151, euro 10,00.

Nella foto di David Peyrot, al centro la moglie Fanny al Serre di Angrogna, 1886 (Archivio fotografico valdese – Fondo D. Peyrot)