crocifisso

«Ci si allontana sempre di più dal rispetto per un simbolo»

Il Vangelo era stato protagonista della campagna elettorale della Lega, usato dal segretario federale Matteo Salvini come oggetto di un giuramento durante un comizio a Milano. Durante il giuramento vero, quello da ministro dell’Interno del governo Conte, lo stesso Salvini si era invece presentato al Quirinale sgranando un rosario. Nel mezzo, il crocifisso. Subito dopo le elezioni, precisamente il 26 marzo, la deputata leghista Barbara Saltamartini ha presentato una proposta di legge, la numero 387, dal titolo Disposizioni concernenti l’esposizione del Crocifisso nelle scuole e negli uffici delle pubbliche amministrazioni, con cui si mira a renderne obbligatoria l’esposizione nei luoghi pubblici «in luogo elevato e ben visibile» (art. 3, comma 1). Nello stesso comma vengono anche specificati i luoghi sottoposti all’obbligo: «scuole di ogni ordine e grado, […] università e accademie del sistema pubblico integrato d’istruzione, negli uffici delle pubbliche amministrazioni […] e negli uffici degli enti locali territoriali, nelle aule nelle quali sono convocati i consigli regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali e delle comunità montane, nei seggi elettorali, negli stabilimenti di detenzione e pena, negli uffici giudiziari e nei reparti delle aziende sanitarie e ospedaliere, nelle stazioni e nelle autostazioni, nei porti e negli aeroporti, nelle sedi diplomatiche e consolari italiane e negli uffici pubblici italiani all’estero». Nessuno spazio viene escluso, insomma. Chiunque si sottrarrà all’obbligo, recita l’articolo 4 della proposta di legge, sarà passibile di una multa fino 
a mille euro.

La battaglia non è nuova, al punto da ritornare in praticamente tutte le legislature della Seconda Repubblica, ogni volta declinata in forme simili e giustificata con ragioni non troppo differenti di volta in volta. Oggi il crocifisso nei luoghi pubblici non è né obbligatorio né vietato, sospeso in un equilibrio molto italiano tra normative e giurisprudenza, in linea anche con una generale secolarizzazione del Paese e con il principio costituzionale di laicità dello Stato. Molto critica Silvana Ronco, già presidente dell’Associazione 31 ottobre, associazione promossa da insegnanti evangelici per condurre la riflessione sul tema della religione a scuola, secondo cui «bisognerebbe davvero avere una conoscenza maggiore di quello che è il fatto religioso».

In questi anni il crocifisso è stato utilizzato come strumento identitario, per tracciare una linea tra un “noi” e un “loro”. È qualcosa di compatibile con quel simbolo?

«Noi parliamo a una nazione dove l’analfabetismo religioso è profondo e utilizzare in modo strumentale la simbologia è innanzitutto una mancanza di rispetto, quindi utilizzarla in senso escludente va al di là di qualsiasi valore religioso, perché a parte le appartenenze dei singoli poi ci sono valori universalmente condivisi da tutte le religioni e non devono essere quelli del mettersi su piani diversi a seconda delle appartenenze, tanto più in uno Stato che non è uno Stato confessionale.

L’uso strumentale da parte politica è sempre da condannare, perché la religione non si presta a questo, tant’è che anche la confessione cattolica nelle sue alte sfere si sta esprimendo contro questo messaggio».

La laicità dello Stato è alla base della nostra Costituzione. Una legge come questa, se mai dovesse arrivare al fondo del suo percorso, non avrebbe profili di inapplicabilità e incostituzionalità?

«Certamente. Ma l’obiettivo forse non è nemmeno arrivare al recepimento di una nuova normativa, che sarebbe comunque eccepibile sotto il profilo della costituzionalità. L’obiettivo è gettare questo seme dell’intolleranza, gettare questo seme della paura, è qui che va condannato qualsiasi gesto che qui utilizza nel caso specifico il crocifisso, citando per esempio chiunque muova in odio, cioè addirittura anche utilizzando un lessico che non appartiene a chi ha davvero nel suo cuore un sentimento cristiano. Non ci appartiene l’odio, ci appartiene l’accoglienza, quindi diamo davvero dei messaggi cominciando a tirarci su le maniche e accogliendo l’altro laddove – e penso proprio ai nostri porti – lo si deve fare».

Da dove partire, quindi?

«Se davvero si vuole portare un messaggio cristiano cominciamo dall’accoglienza, ma l’accoglienza non brandendo il crocifisso come un’arma, non incutendo timore in chi magari si avvicina a un’aula scolastica e già vede che in quell’aula c’è qualcosa di diverso. Non c’è più il crocifisso, ma c’è la Lim: mentre le alte cariche istituzionali fanno questi proclami, la vita di tutti i giorni ha una marcia in più, quella dell’accoglienza. Parlo delle aule scolastiche proprio perché lì insegnanti, genitori e soprattutto i nostri figli e figlie ogni giorno incontrano l’altro e lo sanno fare molto bene, tant’è che quando al crocifisso si è sostituita la lavagna interattiva multimediale sono stati contenti, non perché non avessero osservanza per il simbolo, ma perché il simbolo di per sé passava quasi per inosservato: avevano sete di conoscenza, di conoscere l’altro. Non so se Salvini ha frequentato o frequenta le aule scolastiche, ma sarebbe utile lo facesse per vedere quanto a oggi gli insegnanti, i genitori e soprattutto le studentesse e gli studenti si sono adeguati alle immagini che servono davvero, alle immagini per conoscere l’altro e non a quelle per andare contro l’altro. Ecco, se vogliamo dare dei messaggi forti diamoli chiari, ma diamoli innanzitutto sotto un aspetto di conoscenza di quello che è un percorso laico che appartiene al nostro Stato, è nella Costituzione e vorremmo fosse rispettato».