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Il sogno di una riforma religiosa dell’Italia

La “portata” principale del ricco “menu” estivo della rivista della Facoltà valdese di Teologia, Protestantesimo (secondo-terzo trimestre 2018), per riprendere la metafora usata nell’editoriale dal suo direttore, prof. Enrico Benedetto, è un lungo viaggio tra le due sponde dell’Oceano Atlantico. Una vicenda che «è quasi un romanzo, e ci voleva spazio per assaporarla», scrive Benedetto; e di un romanzo, il saggio di Stefano Villani (William Chauncey Langdon e l’attività del Comitato sulla Riforma italiana della Chiesa protestante episcopale negli Stati Uniti d’America 1865-1874) ha anche la trama avventurosa, che interesserà i lettori di Riforma.it perché riguarda una Chiesa di cui parliamo spesso.

La Chiesa episcopale statunitense, staccatasi dalla Chiesa madre anglicana alla fine del Settecento (parallelamente a quanto accade con l’indipendenza a livello politico), già negli anni Venti dell’Ottocento comincia un’attività missionaria sia interna, nell’immenso ovest, sia verso l’estero. Su quest’ultimo fronte però, osserva Villani, si muove «su direttrici spesso casuali, più determinate dall’interesse di singoli che da un vero e proprio programma».

Dopo i primi missionari in Grecia, Liberia, Cina, Giappone, America Latina negli anni Venti e Trenta, dalla fine degli anni Cinquanta e per circa un ventennio la Chiesa episcopale segue con attenzione il dibattito religioso italiano, prima «sostenendo i movimenti cattolico-liberali nella speranza che possano promuovere una riforma interna della Chiesa di Roma e, successivamente, incoraggiando lo sviluppo dei movimenti veterocattolici nati dopo il Concilio Vaticano del 1870».

Anche in questo caso l’impegno nasce dall’iniziativa di un singolo, il ministro episcopale William Chauncey Langdon, che a Roma e Firenze crea due congregazioni che uniscono sotto l’egida episcopale anche metodisti, battisti e presbiteriani. Egli espone le sue idee sulle possibilità di una riforma religiosa in Italia in vari articoli e critica, scrive Villani, le chiese protestanti straniere «che, invece di favorire una riforma interna della Chiesa cattolica, con la loro attività di proselitismo tentavano di esportare un modello ecclesiale antitetico alle tradizioni religiose italiane».

L’importanza del personaggio, già messa in luce dallo storico Giorgio Spini, va al di là dei risultati concreti, che (è l’amara conclusione) a fronte di «un notevole investimento in denaro, […] furono minimi». La sua fiducia nella possibilità di una «purificazione» della Chiesa di Roma, di un suo ritorno alle origini sul modello dell’unica vera «libera chiesa in libero Stato», secondo Landgon, quella episcopale americana, viene smentita dai fatti. La sua vicenda resta però testimonianza di una «stagione di ottimismo e di speranza» che pervade gli animi di molti e li impegna, lontano dal proprio paese, per compiere quello che era stato iniziato ai tempi della Riforma protestante.

E del cinquecentenario della Riforma si sentono gli echi negli altri due articoli del fascicolo, dei proff. Fulvio Ferrario e Lubomir Žak. Il primo, riprendendo la traccia di una sua conferenza discute in modo sintetico sei tesi sulla dottrina della predestinazione, tema centrale nei Riformatori, partendo dalle sue radici in Paolo e Agostino. Il secondo presenta Lutero. Un cristiano e la sua eredità, 1517-2017, voluminosa opera pubblicata da Il Mulino (74 saggi per quasi 1600 pagine) e coordinata dal prof. Andrea Melloni. Sintetizzandone i contenuti e collocandola nel vasto panorama delle recenti pubblicazioni su Lutero, l’autore ne individua la specificità innanzitutto nella sua «italianità», osservando che, «anche se, quanto al numero di studiosi, la Lutherforschung italiana è, rispetto a quella tedesca o anglosassone, di modeste dimensioni, essa è capace di produrre valide ricerche nell’ambito sia della teologia sia delle scienze storiche».

Alla critica testuale biblica è dedicato infine il saggio di Riccardo Maisano su Girolamo interprete di Isaia e le sue influenze sulla versione di Giovanni Diodati, dimostrando che «le posizioni dell’esegesi protestante e cattolica non sono sempre così distanti […]. Al contrario, esse sono non di rado aperte a reciproche, anche se non dichiarate, influenze».