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Diaconia e predicazione, un matrimonio ventennale

«Il passato ha i suoi figli nel presente e questi oggi sono capaci di camminare con le proprie gambe», così ha esordito ieri pomeriggio il pastore valdese Paolo Ribet, primo presidente per la Diaconia valdese – Commissione sinodale per la diaconia (Csd), in occasione dell’incontro «Vent’anni di diaconia valdese» tenutosi presso il Tempio di Torre Pellice (To) a margine del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, che ha preso avvio ufficialmente oggi pomeriggio alle 15,30.

«Predicazione e diaconia sono al centro della nostra riflessione – ha ricordato al pubblico, il presidente della Csd Giovanni Comba –, così la storia, i progetti e le prospettive della Diaconia valdese. L’intenzione – ha ricordato ancora Comba – non è quella di autocelebrarci ma di cogliere quest’occasione per ricordare il cammino fatto all’interno della chiesa e della società nel corso degli anni». Prima delle tre relazioni previste nel panel – del pastore Paolo Ribet, della pastora Dorothee Mack e direttore della programmazione della Csd, Samuele Pigoni -, il pastore Francesco Sciotto, membro della Diaconia valdese, ha letto l’appello «Fateli scendere», diramato dalla Csd in solidarietà e vicinanza alle persone eritree trattenute sulla nave Diciotti e fortunatamente da ieri sera accolte a terra e soccorse.

Nel suo intervento, il pastore Paolo Ribet ha ripercorso la storia e la nascita della Diaconia valdese. «In passato alcuni membri delle nostre chiese ritenevano che la Diaconia dovesse essere prerogativa dello Stato, mente altri pensavano che le nostre chiese dovessero continuare ad operare in sinergia con lo Stato. Era necessario tuttavia raggruppare le Opere presenti sul territorio nazionale, si decise dunque di creare un “Centro servizi amministrativi” che potesse raggrupparle. Nel 1993, poi, fu poi costituita ufficialmente con sede legale in via Beckwith la Commissione sinodale per la diaconia con lo scopo di coordinare le attività delle opere ed Istituti facenti parte dell’ordinamento valdese, individuati dal Sinodo. Oggi, a distanza di anni, siamo ancora chiamati a tenere unite la diaconia e la predicazione proprio per ricordarci che essere ministri non significa “esercitare poteri” ma offrire servizi. Questa è la missione della Csd e spero la prospettiva di lavoro per il futuro», ha concluso Ribet.

Opere, servizi e attività per giovani, anziani, migranti che dal Nord al Sud Italia lavorano in rete, seppur nella loro autonomie e prerogative. La comunità metodista di Milano, ad esempio, è situata nel quartiere Isola, dal forte carattere multiculturale, ed «è molto attiva e ricca di progetti», ha ricordato la pastora Dorothee Mack soffermandosi anch’essa sul rapporto chiesa e diaconia. «Tutto ha inizio da Gesù – ha ricordato Mack –, dall’annuncio dell’amore di Dio, grazie alla sua predicazione e al suo annuncio del Regno. Era evidente, partendo dal suo esempio, che le chiese, anche quelle locali, si occupassero di carità. Oggi a Milano e in altre città italiane sono nate nuove collaborazioni tra le chiese locali – valdesi, battiste e metodiste – e la Csd.

Nel 2015 la Csd decise di promuovere e sostenere un progetto per richiedenti asilo e occuparsi di persone assegnate dalla Prefettura e giunte grazie ai “Corridoi umanitari” della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), Tavola valdese e Sant’Egidio. Da questa esperienza nacque la proficua collaborazione con gli operatori della Csd; un’avventura di condivisione e di impegno diaconale per annunciare l’evangelo e praticarlo». Sì, perché «la fede è la risposta delle donne e degli uomini di ogni tempo all’amore di Dio per le sue creature – si legge nella «Carta della Diaconia» pubblicata sui Quaderni della Diaconia n° 11 – che ci è testimoniato dalle scritture dell’Antico e Nuovo Testamento e che ci è mostrato, in modo particolare, dal dono di suo figlio Gesù Cristo, il quale ha detto di sé che è venuto per non essere servito ma per servire»,Quaderni dedicati nel numero presentato e distribuito ieri ai «Venti anni di testimonianza diaconale».

«Noi credenti siamo “progetto”- ha ricordato Samuele Pigoni, direttore Diaconia Valdese – COV e ha proseguito – “siamo globali”, perché ci rapportiamo con anziani, adolescenti, disabili, richiedenti asilo, avendo in mente la “globalità della persona”. Il nostro lavoro – ha proseguito – si confronta con l’essere attori economici all’interno di politiche di welfare che rischiano di ridurre la persona stessa a “soggetto economico”.  Ed è qui che vedo l’eccedenza di senso: il nostro lavoro, il nostro operare, per quanto in balia di mutazioni prodotte dalle variazioni politiche, sociali, culturali, dovrà sempre farsi carico della persona, agendo se è il caso un ruolo di pressione per il cambiamento delle politiche e della società. È dunque necessario ripensare costantemente il nostro lavoro promuovendo un welfare che sia aggiornato nelle metodologie ma davvero generativo di legami sociali, in un contesto, quale quello di oggi, in cui prevalgono invece rancore e rotture delle relazioni. L’energia par andare avanti ci è data dall’essere una chiesa chiamata alla promozione della cura delle persone ed alla riduzione delle disuguaglianze».