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Diaconia, chiudiamo la forbice

Come di consueto, gran parte del dibattito sinodale della giornata di mercoledì è stata dedicata all’esame dell’operato della Csd, la Commissione sinodale per la diaconia, e alle sue molteplici articolazioni; quest’anno, in questo contesto si è parlato anche della situazione di conflitto nel rapporto fra «diaconia» e «chiese» emersa in particolare nelle ultime Conferenze distrettuali del I distretto.

Come è stato ricordato, la Csd non è soltanto una commissione nominata dal Sinodo, ma una struttura complessa, con diverse centinaia di dipendenti e collaboratori e un numero di volontari difficile da quantificare, distribuiti su tutto il territorio nazionale.

Il suo sviluppo, in vent’anni di vita, ha portato a una diversificazione dell’offerta che va dall’assistenza agli anziani, all’accoglienza dei migranti, ai progetti educativi per bambini e giovani, alle strutture ricettive. Un insieme molto vario di attività, quindi, che le chiese (oppresse da «uno stato di frustrazione» che la Commissione d’esame sull’operato della Tavola-Opcemi-Facoltà valdese di Teologia ha definito «a volte patologico»), hanno la «sensazione» di stare perdendo di vista. Nel dibattito si è più volte insistito quanto sia sbagliato basarsi su sensazioni o percezioni, perché solo un atteggiamento obiettivo può portare a capire se davvero si è creata una sproporzione, uno sbilanciamento, fra i due ambiti della chiesa: predicazione e diaconia. Perché qui sta il punto: è pericoloso parlare di un binomio o peggio di una contrapposizione chiese-diaconia, essendo quest’ultima parte della chiesa. Occorre chiudere la forbice, avvicinare le due forme di testimonianza evangelica, espressione di fede, quella che si vive nelle chiese e quella che si opera nel servizio (perché tale è il significato di diaconia). Com’è intuibile, questo tema interesserà le chiese ancora per molto tempo, e sarà sicuramente opportuna la sua trattazione anche in una sede diversa dal Sinodo, magari un convegno.

Se da un lato le chiese hanno (danno?) l’impressione di ripiegarsi su se stesse, la Diaconia è impegnata sempre più con l’esterno, nella collaborazione con soggetti pubblici e privati. Per citare solo alcuni progetti, la Casa evangelica valdese di Vittoria (Rg), già centro per anziani, è stata convertita del tutto all’accoglienza dei migranti, ed è stata citata come esempio di come le nostre strutture possano, a volte debbano, ripensarsi, riconvertirsi, anche se questo percorso non è del tutto indolore.

Si è citato l’avvio di stage per gli studenti della Facoltà valdese di Teologia nelle strutture diaconali, un utile strumento per completare la formazione dei futuri pastori con un’esperienza pratica in uno dei tanti ambiti dell’azione diaconale.

Un nuovo progetto, Diac.0, dovrebbe infine partire a Bergamo e Genova (ma la possibilità è di estenderlo anche altrove) coinvolgendo i più giovani, in particolare i figli di famiglie non frequentanti la chiesa o immigrate, per dare loro uno spazio di aggregazione e limitare la loro dispersione.