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Violenza e religioni, binomio da spezzare

Violenza e religioni: un ossimoro che purtroppo ha avuto numerosi esempi nella storia. Ma «la violenza non proviene dalla religione in quanto tale, bensì da un progetto politico. Ogni volta che è stato dato a una religione il potere politico, o che una religione è stata strumentalizzata da quest’ultimo, ne sono derivati comportamenti violenti». Lo spiega all’agenzia stampa svizzera Protestinfo Michel Grandjean, professore di storia del cristianesimo all’Università di Ginevra e promotore del nuovo Mooc (Massive open online course), corso online gratuito e aperto a tutti, proprio su questo tema.
Il corso, si legge nell’articolo di Laurence Villoz, partirà il 17 settembre sulla piattaforma web coursera.org, sarà incentrato soprattutto sul cristianesimo e l’islam e vi interverranno più di 25 specialisti da Svizzera, Francia, Belgio, Canada e Marocco. Durerà sei settimane e si terrà per lo più in francese, con alcune parti in arabo, ma sarà sottotitolato in entrambe le lingue. Ogni settimana verrà affrontato un tema specifico attraverso una decina di video di dieci minuti ciascuno, e al termine, chi avrà seguito il corso integralmente riceverà un attestato. Si tratta del 29° Mooc dell’Università ginevrina, che con questa formula ha già raggiunto più di 300.000 persone.
Il corso, spiega il prof. Grandjean, seguirà una prospettiva «storica e comparativa. Lo studio della storia serve a prendere le distanze per capire il presente». Nella prima settimana saranno esaminati i passaggi più violenti dell’Antico Testamento e del Corano, quindi si parlerà del periodo medievale, con le crociate, la repressione delle eresie e le conquiste arabo-musulmane. Poi sarà la volta dell’età moderna, con le guerre di religione, la nuova concezione che i Riformatori hanno dell’eresia, e le premesse per una pace religiosa. «Vediamo costruirsi poco a poco il meccanismo che consentirà di uscire dalla violenza: la difesa della libertà di coscienza», un processo tutt’altro che semplice. E infine, la storia dell’islam dal XVIII al XX secolo, dal riformismo al conflitto israelo-palestinese, al dibattito sulla libertà religiosa, affrontando le sfide di oggi.
Su quest’ultimo capitolo della storia l’obiettivo è abbattere i preconcetti che considerano, per esempio, l’islam come religione della violenza, o secondo cui le religioni monoteiste sono portatrici di fondamentalismo. Analizzando diversi esempi storici il corso vuole mostrare, conclude Grandjean, che «non sono le religioni a essere a favore o contro la violenza, ma i loro adepti».

L’interesse dell’Università svizzera per la formazione interreligiosa e il superamento delle barriere culturali e di fede ha raggiunto recentemente anche un altro tassello: il completamento del corso di specializzazione per imam e docenti di teologia islamica istituito un anno fa e rivolto ai musulmani albanofoni (ne avevamo parlato qui e qui).
Lo riferisce sempre Protestinfo con un articolo di Camille Andres (Réforme), in cui si dice che due dei sei studenti hanno conseguito il titolo al termine dei due semestri di formazione, relativi innanzitutto alla lingua francese e a elementi socioculturali, al fine di sgombrare il campo da possibili fraintendimenti. Primo fra tutti il concetto di laicità che, spiega la coordinatrice scientifica, Elisa Banfi, «non ha lo stesso significato in turco e in francese». Quindi, nel secondo semestre (al quale sono riusciti ad eccedere solo due studenti), si è approfondito lo studio della storia, del diritto, del dialogo interreligioso e interculturale, l’etica e le teologie islamiche. 
L’insegnamento è stato impartito da specialisti provenienti da tutta Europa (e reperire il team di insegnanti, ha sottolineato Banfi, non è stato per niente facile), in campo teologico ma anche pedagogico, per comprendere le difficoltà degli studenti musulmani e al tempo stesso avvicinarli a un approccio scientifico al fatto religioso, al pluralismo del mondo islamico, analizzando i vari dibattiti teologici esistenti al suo interno. Gli studenti, ha sottolineato Banfi, «sono rimasti meravigliati nello scoprire la quantità di saperi non teologici sull’islam, e hanno imparato a discutere sulla base di fonti bibliografiche», quindi su basi razionali e non sull’onda delle emozioni. Vari temi, anche scottanti, sono stati affrontati: il rispetto degli atei, il concetto di jihad, il suicidio assistito. 
Gli studenti hanno trovato «uno spazio per discutere serenamente», ma altra cosa sarà applicare quanto imparato nei rispettivi contesti sociali e comunitari, per lo più privi degli strumenti per affrontare la complessità di un mondo estraneo. La prossima sfida, budget permettendo, sarà aprire il corso anche alle donne e ad altri gruppi etnici, come gli afghani.