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Un caffè-chiesa nel campus

Amichevolmente «Cal Poly», il Politecnico di San Luis Obispo, California, è l’università statale più «bianca» dello Stato: dei suoi 20.000 studenti il 55% è costituito da bianchi, il 16,7% da ispanici e meno dell’1% da afroamericani.

Quando cominciano a diffondersi su Instagram foto in cui studenti di alcune confraternite si «travestono» da membri di gang ispaniche o nere, il responsabile di Front Porch, un caffè accanto all’entrata dell’Università, decide di fare qualcosa per sensibilizzare i giovani al tema del pregiudizio razziale e stimolarli a un comportamento più rispettoso. A raccontare la storia è un articolo di Paul Seeback nel blog della Chiesa presbiteriana (PcUsa).

Front Porch, frequentato ogni giorno da centinaia di ragazzi per un caffè e due chiacchiere, è infatti un luogo dove affrontare discussioni anche impegnative, perché non è un bar qualunque, ma una delle centinaia di nuove «comunità» della PcUsa.

Fa parte del movimento 1001 new worshiping communities (Nwc), un progetto decennale avviato nel 2012 dalla 220° Assemblea generale della con l’obiettivo di creare più di mille (1001 appunto) nuove comunità in forme innovative, più rispondenti alla cultura diversificata e mutevole di oggi. Nel report presentato nel 2018 dai leader del movimento, risultano 447 nuove comunità attive (534 sono quelle create, ma alcune nel frattempo sono state chiuse).

Il progetto è attuato in genere in un contesto urbano, nella metà dei casi in uno spazio fornito dalla locale chiesa presbiteriana, ma nel 7% in scuole, ben il 30% in luoghi di ristorazione (ristoranti, bar, caffetterie) e nel 28% in abitazioni private. Tra le priorità di queste comunità informali, la cui media è di 30 aderenti, c’è la costruzione di relazioni (84%), e dopo vengono il culto (63%), il servizio agli altri (48%), l’evangelizzazione (22%), la preghiera (13%). Molte sono caratterizzate da liturgie non convenzionali (o assenti), conversazioni al posto di sermoni tradizionali, condivisione dei pasti, attività creative e artistiche come parti del culto, multiculturalità (il 9% dei membri della PcUsa è afroamericano, ma lo è il 53% dei partecipanti di queste nuove comunità d’incontro).

Front Porch è stata creata nel 2004, ma nei primi anni di attività aveva poca visibilità: una trentina di utenti, e un centinaio scarso di studenti ne conosceva l’esistenza. Nel 2013, il nuovo direttore Joel Drenckpohl decide di darle nuovo impulso e comincia a immaginare come accrescere l’influenza di Front Porch per rendere il campus una «comunità più sana» dal punto di vista del rispetto delle diversità. Infatti, sono diverse le categorie di persone che dicono di sentirsi oggetto di pregiudizi e inascoltate, non solo gli afroamericani e gli ispanici.

L’iniziativa più recente, sulla scia delle foto su Instagram di cui si diceva, è una serie di incontri, il mercoledì sera, in cui insieme alla cena ragazzi e ragazze possano conoscersi davvero. Nella maggior parte dei casi emerge che i giovani (più di 250 partecipanti) hanno dovuto confrontarsi per la prima volta, e riflettere, sul significato di «privilegio dei bianchi», e non è stato facile. Molte persone, ha osservato Drenckpohl, non si rendevano conto «di quanto sia profondo il problema nel nostro paese: sempre più studenti hanno cominciato a dire: “La cosa mi sta a cuore, ho bisogno di saperne di più”».

La filosofia di Drenckpohl era di prestare attenzione a coloro che passavano davanti a Front Porch, e capire chi erano: invece di parlare di grandi idee teologiche, costruire relazioni, «non perché c’era un’agenda di evangelizzazione da rispettare, ma perché siamo tutti fratelli amati da Dio».

Partendo dall’idea che «il Vangelo non dovrebbe mai essere solo per i cristiani, ma dovrebbe beneficiare chiunque, a prescindere dal fatto che si costruisca la propria vita intorno a esso o meno», Drenckpohl e lo zoccolo duro degli studenti che frequentavano il centro in questi anni ne hanno cambiato la fisionomia. Oggi c’è un gruppo di 120 volontari, credenti e non credenti: molti si considerano «spirituali», ma non necessariamente persone religiose. Il nucleo centrale dei donatori non è più a maggioranza presbiteriano: «Il 40% arriva dalle chiese», dice il direttore, «ma il resto viene da genitori, studenti, amici, persone di altre comunità religiose». Oggi, Front Porch è diventato ciò che Drenckpohl sognava: «fuori dal ghetto della cristianità, un luogo di consapevolezza che riconosca l’umanità del prossimo. Questa generazione è stufa della religione», dice. «I giovani sono stanchi del modo in cui Dio è stato loro presentato, che sembra essere all’opposto di ciò che era Gesù. Oggi, incontro ogni giorno studenti cristiani, ebrei, atei, musulmani, che mi dicono che Front Porch è la cosa più rivitalizzante di cui abbiano mai fatto parte».