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Dialogare fra religioni in carcere

Una giornata del dialogo cristiano-islamico che non sia solo una convenzione formale, ma rispecchi un percorso condiviso, che dura tutto l’anno, non dovrebbe necessariamente seguire la data “ufficiale”, ma sceglierne una adatta alle esigenze di tutti. Questo il pensiero degli organizzatori della Giornata che si terrà a Ravenna domenica 23 settembre: le chiese metodiste e valdesi dell’Emilia Romagna e delle Marche, il Comune di Ravenna, associazioni musulmane (Life onlus e Laboratorio Insan).

Il tema scelto per l’incontro (nel giardino di Life onlus, via Caorle 24), il volontariato interreligioso in carcere, rispecchia una dimensione realmente ecumenica, racconta la pastora Giuseppina Bagnato della chiesa valdese di Rimini, moderatrice del dibattito: «Abbiamo progetti concreti e buone pratiche di cui discutere: c’è un’autentica relazione tra le comunità cristiane (cattoliche e protestanti) e le associazioni musulmane del territorio. Sono già in atto percorsi di conoscenza nel rispetto della laicità dello Stato, in cui mettiamo al servizio degli altri le nostre esperienze in diverse città; Ravenna, Rimini, Ferrara».

Nella giornata si confronteranno esperienze diverse, tra cui quella dell’VIII circuito delle chiese metodiste e valdesi (Emilia Romagna e bassa Padana) e la loro difficoltà di essere presenti con la propria testimonianza e sostegno. Il carcere in Italia è una realtà poco regolata e molto discrezionale, commenta la pastora Bagnato: «Pur avendo una convenzione che ci permette di entrarvi come assistenti spirituali, questa si limita alla figura del pastore, il quale peraltro viene raramente inserito nell’elenco a disposizione dei detenuti. Quando uno di loro si dichiara cristiano, automaticamente viene assegnato al cappellano cattolico, una figura “istituzionale”, che ha un grandissimo margine di autonomia». Talvolta si incontrano persone illuminate all’interno del direttivo, consapevoli della presenza di diverse chiese cristiane, ma gli esempi non sono molti.

Se non si posseggono competenze professionali specifiche legate all’assistenza dei detenuti, spiega la pastora, per essere riconosciuti come associazione occorre avere alle spalle «una struttura che risulti un referente fidato, come la Caritas o la Papa Giovanni XXIII. E il più delle volte quando diamo la nostra disponibilità ci viene detto che ci sono già loro… Difficile che un detenuto chieda esplicitamente un pastore valdese o metodista…». In carcere il volontariato è quindi «fondamentalmente legato all’associazionismo cattolico, che fa un grosso lavoro, essenzialmente di carità, di assistenza finalizzata alla misericordia; sono poche le realtà comunitarie, che lavorano sul recupero sociale, sul reinserimento, come quella di don Nilo Nannini e altre figure che danno alla gente la possibilità di credere che c’è una chiesa che ha un impatto sociale».

C’è poi una terza via, quella delle associazioni musulmane come Life onlus e il Laboratorio Insan, che lavorano su Forlì, Bologna e Ravenna: collaborando con le loro operatrici, in questi anni le chiese valdesi e metodiste del territorio hanno condiviso difficoltà ed esperienze nel campo della mediazione interculturale e interreligiosa, riscontrando ad esempio il problema di un’assegnazione secondo criteri geografici, senza tenere conto della reale appartenenza religiosa delle persone.

Al di là delle differenze ci sono problemi comuni, ricorda Bagnato, come la mancanza di «uno spazio dedicato alla spiritualità e alla sensibilità religiosa dei detenuti. In un ambiente in cui la privazione è tanta, almeno lo spazio della spiritualità, di un confronto, di un percorso di redenzione è fondamentale. Non c’è una stanza in cui ci si possa ritirare in preghiera, un tavolo intorno al quale ci si possa sedere» per discutere e confrontarsi sulle proprie diversità culturali, che sono profonde.

A questo proposito la pastora Bagnato ricorda il documentario girato al carcere «Dozza» di Bologna, Dustur (Costituzione, in arabo), in cui un gruppo di detenuti è chiamato a discutere sul tema del diritto, e a scrivere una «Costituzione dei sogni». Emergono contesti legislativi e concezioni della legge e dello Stato molto diverse, a cominciare dalla libertà religiosa. «Tutti però sono concordi nel dire – commenta Bagnato – che se non c’è la possibilità di fare un percorso di conoscenza ed educazione non ci sarà mai cambiamento: e di certo non ci sarà in un carcere dover vige solo la legge della delinquenza e dove tutto è lasciato alla buona volontà del singolo operatore e delle singole iniziative, senza un’attenzione nazionale».

Proprio un volontario del «Dozza», Fabian Lang, di origine camerunese, parlerà della propria esperienza insieme al gruppo «Una Via» del prof. Piercesare Bori, docente di Filosofia morale all’Università di Bologna, di cui ha raccolto l’eredità proseguendo l’attività del gruppo dopo la sua scomparsa nel 2012.

Un altro oratore della giornata che, dopo il culto ecumenico alle 11, curato dalla chiesa valdese di Rimini e metodista di Bologna, la lettura del Corano e preghiera del Dhohur seguita dal pranzo comunitario, prevede alle 15,30 una tavola rotonda con varie testimonianze, oltre alle associazioni Life e laboratorio Insan, sarà il sopra citato don Nilo Nannini, fondatore della comunità terapeutica di Sasso Montegianni a Marradi (Fi), ora attiva anche nella provincia di Ravenna, la cui attività è a favore di tossicodipendenti, disabili, minori in difficoltà, anziani e per l’appunto detenuti.

Due docenti universitari dal Marocco, Khadija Moufid e Said Chabbar, che si occupano rispettivamente di diritto di famiglia e rapporti interreligiosi, restituiranno uno spaccato dei paesi del nord Africa, su cui in Italia si riflette solo dal punto di vista dell’assistenza a terzi, e faranno luce sul background culturale, legislativo e religioso di molte delle persone che finiscono in carcere, aiutando a capire come impostare un intervento a lungo termine.

Per maggiori informazioni: Life onlus, incontriedialoghi@gmail.com, 327-6656310.