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Fuochi e regolamenti

Sta suscitando vivaci e preoccupate reazioni la legge Regionale piemontese numero 18 dello scorso ottobre in materia di prevenzione incendi. Dal mondo agricolo sono emerse molte perplessità, anche nelle vallate, considerando che sembrerebbe vietato dare fuoco anche ai piccoli mucchi di ricci di castagne che da tempo immemore i coltivatori sono soliti bruciare al termine della raccolta. Col fuoco tra l’altro vengono bruciati anche insetti e larve dannosi alle produzioni.

Articoli di giornale, lettere, grazie anche alla diffusione dei social, propongono interpretazioni e commenti al riguardo.

Il testo della legge sembrerebbe chiaro: «È vietato l’abbruciamento di materiale vegetale di cui all’ articolo 182, comma 6 bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) su tutto il territorio regionale, nel periodo compreso tra il 1° novembre e il 31 marzo dell’anno successivo. È vietata l’accensione di fuochi o l’abbruciamento di materiale vegetale in terreni boscati, come definiti dall’ articolo 3 della l.r. 4/2009, arbustivi e pascolivi, fino ad una distanza inferiore a cinquanta metri da essi».

Dunque a parte questa stagione straordinariamente piovosa e dunque scevra di qualsivoglia rischio, è davvero impossibile condurre in porto quelle normali azioni di pulizia del sottobosco nei castagneti? Certo ottima pratica sarebbe la «trinciatura» dei ricci, magari mescolati a concime animale; ma la realtà è fatta di aziende non sempre attrezzate e di tanti terreni dove la meccanizzazione risulta impossibile. E lasciare i cumuli di ricci nel castagneto non aumenta a sua volta la possibilità di innesco di incendi nelle annate siccitose?

Insomma una legge che nasce per proteggere il territorio dagli incendi finisce invece per creare ulteriori condizioni di rischio?

Abbiamo fin qui usato molti condizionali e punti interrogativi; e non a caso.

La legge Regionale fa più volte riferimento ad una nazionale del 2006, la 152; tale norma è relativa ai rifiuti e al comma 6-bis del’articolo 182 recita: «Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata. I comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all’aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10)».

Aiuta a capire anche un secondo riferimento della recente legge regionale: il divieto di accensione di fuochi riguarda le zone boscate come definite dall’art. 3 della legge regionale 4 del 2009; legge che afferma in modo chiaro come il castagneto non sia classificato bosco.

Due considerazioni allora: se il bruciare piccole quantità di residui vegetali non costituisce accensione di rifiuti bensì normali pratiche agricole, per i quali in situazioni eccezionali si può vietare l’abbruciamento, come la mettiamo con un’interpretazione così restrittiva? E una legge regionale può annulare quanto disposto da una nazionale?