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La bellezza di una città

Matera è stata, finalmente, incoronata ufficialmente Capitale europea della Cultura per l’anno 2019. Si è tenuta, infatti, sabato 19 gennaio scorso, la solenne cerimonia di apertura caratterizzata da una serie di eventi svoltisi in contemporanea lungo le vie del centro cittadino. Erano presenti le più alte autorità politiche e istituzionali dello Stato, con in testa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Mentre in TV passavano le immagini della città, cercavo di andare più a fondo, di guardare oltre quel palco allestito per l’occasione, cercando di capire che cosa, in realtà, potesse significare un tale spettacolo e quale, soprattutto, ne fosse stata la causa.

Si celebrava una città che risulta essere uno degli insediamenti abitativi più antichi del mondo, una città le cui case sono state scavate nella roccia e che hanno resistito a tutte le intemperie, alle calamità naturali, non ultimo il terremoto del 1980. Si celebrava una città. E mi chiedevo che senso avesse farlo, se non, magari, il senso di guardare alla bellezza, alla grande bellezza, che si è rischiato, però, di narrare solo come dono gigantesco, immeritato, dato a caso. Da buon materano d’adozione, invece, ho provato a guardare dietro a questa enorme bellezza, cercandone la causa, «il perché».

Che senso ha chiedersi il perché della bellezza di qualcosa? Non è già la bellezza sufficiente a «salvare il mondo»? Forse sì, ma qualcosa mi ha spinto a cercare, insieme alla bellezza, le altre cause che hanno portato questa meravigliosa città a trasformare la propria vergogna in vanto internazionale. La bellezza di questa città è ultra-millenaria: così è da sempre. Ma il suo essere divenuta capitale, città principale, luogo a cui tutta l’Europa è invitata a guardare, non può limitarsi alle sue bellezze architettoniche e paesaggistiche. La cultura che Matera esprime è la cultura della costanza, della tenacia. È la cultura del non arrendersi, dell’ostinazione, di quella ostinazione che ti spinge a picconare la pietra e rendere la sua aridità, un canale dove farvi passare l’acqua. È, in sostanza, la cultura dei materani, di un popolo che non si è mai arreso e che ha lottato con tutte le sue forze per restare in piedi. È la cultura di un popolo massacrato dalla fame e dalla miseria, dalle condizioni di vita disumane, che, stanco dei soprusi dei latifondisti, dà vita nei primi anni dello scorso secolo alla prima Lega dei Contadini, che servirà da apripista a tutta l’Italia, dove il ricco era sempre più ricco ed il povero sempre più piegato dalla fame.

Pensavo, dunque, che in fondo Matera non è solo una delle tante città «belle» d’Italia, perché, onestamente, di città belle l’Italia è piena. E non credo che l’essere riconosciuta capitale della cultura possa equivalere all’essere capitale della bellezza. Ci deve essere dell’altro. E d’altro c’è, e come. Perché Matera non è solo la città dei Sassi, la città del buon cibo, dei panorami mozzafiato, dei tramonti paradisiaci; Matera è i materani, Matera è la sua gente, Matera è l’orgoglio di avercela fatta, di aver trasformato l’assurdità della miseria in cultura. Ho chiesto ai materani che cosa fosse per loro Matera. Tra le tante, una risposta mi ha colpito, più di tutte. «Matera è come quella terra coperta da un fiume di lava», mi dicevano. «Che cos’è la lava? È fuoco che passa e rade al suolo tutto ciò che incontra lungo il suo cammino. E quando si asciuga diventa una pietra dura e infrangibile. Poi, però, come per miracolo, o forse perché vinta da una forza più grande, dalla lava essiccata spunta un fiore che pian piano diventa un arbusto. Questa è Matera». Una città che ha saputo rialzarsi senza perdere tempo a leccarsi le ferite.

E Matera Capitale europea della Cultura non è, per i materani, un prodotto da mettere in vetrina, un trofeo da esibire, un cimelio di guerra. Il materano non va ai Sassi per ricercare l’inquadratura televisiva, per essere immortalato da questa macchina fotografica o per stare accanto al vip. Il materano non riempie nemmeno la piazza dove si sta svolgendo la diretta televisiva, ma va al Duomo, dove il coro sta intonando i canti popolari, dove le bande musicali sfilano dopo mesi di estenuanti prove; va a incoraggiare questo o quell’artista locale che, con la sua arte, sta esprimendo il suo orgoglio e la sua fierezza di appartenere a questa terra.

Ecco perché Matera è diversa, ecco perché è capitale: perché è la culla di un popolo che continua a guardare al futuro senza mai rinnegare il suo passato.

Foto di Luca Aless