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Fede e politica, segni indelebili

«È possibile dimenticare la violenza?». Questa la domanda cruciale che, fin dalla copertina, interpella il lettore di Segni indelebili*, l’ultimo libro di Andrea Edoardo Visone, valdese della chiesa di via IV Novembre in Roma, pubblicato lo scorso novembre per i tipi dell’editore La Lepre.

Un romanzo storico, i cui eventi e personaggi, seppur parto della fantasia dell’autore, ben richiamano un tempo e una geografia: l’America Latina degli anni Settanta del XX secolo e, segnatamente, il Cile del golpe militare del settembre 1973. Su tale sfondo, un’«intesa d’amorosi sensi», sbocciata tra un giovane diplomatico romano e una studentessa sudamericana a capo di un collettivo marxista. Entrambi di estrazione borghese, entrambi travolti dal terremoto politico dei generali al potere. Una vicenda di ideali vissuti, libertà soppresse, corpi violati, rapporti spezzati. Un rapporto intenso, eppure di ardua decifrazione, segnato dal confronto di temperamenti, da piccole e grandi fughe, fisiche e morali, sino all’ultima pagina.

Non manca l’elemento religioso.Un’indistinta credenza nel trascendente del giovane diplomatico, messa in crisi da un teologo della liberazione, un frate con il fucile a tracolla e Søren Kierkegaard e Dietrich Bonhoeffer in tasca. Un tema quasi sottotraccia, apparentemente secondario, una vena carsica che riaffiora, ormai ben profilata, nella tarda età del protagonista, allorché questi, interrogandosi sulla giustizia divina, cita i Salmi e l’apostolo Paolo, per poi benedire in silenziosa preghiera le vittime del regime, i cui nomi sono raccolti nel giardino fiorito del Museo della Memoria.

Spicca la fitta tramatura letteraria del romanzo di Visone, costellato di disparati richiami, da La mala hora di Gabriel García Márquez ai Colloqui di Guido Gozzano, da Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati al Faust di Goethe, fino a evocare tra le righe La banalità del male di Hannah Arendt. E forse sono proprio le due ultime citazioni del romanzo, tratte questa volta dal mondo dell’arte figurativa, a esprimere con icastica efficacia l’intreccio tra il sordido dispiegarsi della violenza e la sorprendente maturazione della fede del diplomatico romano: l’Incoronazione di spinee, ancor più, la Salita al Calvario dell’olandese Hieronymus Bosch, dai volti grotteschi e bestiali degli aguzzini di Cristo.

Ma se perfino una tavola d’artista è in grado d’immortalare e perpetuare il gravoso ricordo della violenza, come voltar pagina? È possibile superare il cimitero collettivo e personale causato dalla furia degli uomini? Sì. Un sì dolente e trepido è la risposta dell’autore e del protagonista del suo romanzo. Basterà porsi «in attesa della mano pietosa che fermerà il tempo e cancellerà anche i segni indelebili».

* A. E. Visone, Segni indelebili. Roma, Ed. La lepre, 2018, pp. 176, euro 15,00.