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Fare casa insieme

Alcuni giovani migranti chiamano “campo” l’appartamento in cui vengono ospitati dall’accoglienza diffusa della Diaconia valdese in Toscana. Lo raccontano alcuni operatori e volontari, sottolineando il fondamentale e difficile passaggio, non solo linguistico, da quella parola a “casa”. 

Per il suo annuale convegno nazionale, tenutosi a Firenze sabato 9 marzo, la Diaconia valdese ha scelto un tema-simbolo (la casa) declinando in cinque laboratori gli ambiti più avanzati della sua azione, ognuno dei quali meritevole di un convegno: l’accoglienza diffusa dei migranti, appunto, in appartamenti e non in grandi centri; l’housing sociale, soluzioni abitative temporanee per persone in stato di necessità (disoccupati, migranti,…); la domiciliarità, con il recupero della casa quale luogo di cura più a misura d’uomo; infine l’ecologia, che potrebbe essere uno degli obiettivi forti dell’azione diaconale nei prossimi anni, ma su cui si sono esortate anche le chiese a fare di più, dal punto di vista teologico e non solo pratico. La riflessione di base sul “senso di casa”, cui è stato dedicato il quinto gruppo, in realtà è stata il filo rosso della giornata: parole come relazione, protezione, cura, ospitalità, sono emerse nelle testimonianze personali, di vita e lavoro di tutti.

Uno degli aspetti più positivi è stato infatti il confronto fra operatori del settore, la maggioranza dei presenti, che affrontano ogni giorno questi temi, pastori e diaconi, membri di chiesa. Un confronto fruttuoso, che nei laboratori è partito sempre da situazioni e problemi concreti, vissuti in Sicilia, Toscana o Lombardia, in un’accoglienza non priva di contrasti. Il pregio di un incontro come questo, ha osservato il presidente della Csd Giovanni Comba, è proprio riunire persone da tutta Italia, differenti sensibilità, modi di vedere le cose e affrontare le situazioni.

Altro aspetto positivo, secondo i partecipanti, la scelta di non avere un momento di restituzione dei lavori dei gruppi – questi ultimi saranno però rielaborati dagli animatori e messi a disposizione in seguito, così come le relazioni degli oratori. Questo ha consentito maggiore libertà di esprimere esperienze e vissuti intensi, anche drammatici, favoriti dal confronto in un gruppo ristretto e senza la pressione di una restituzione in plenaria.

Dalle testimonianze dei partecipanti, tra cui mancavano “solo” le voci di coloro che beneficiano dei vari progetti (inevitabilmente, per questioni pratiche e normative, anche se sarebbe stato bello avere almeno delle video-testimonianze), è apparsa tutta la multiformità del mondo diaconale della Chiesa valdese.

Già, la chiesa: viene da chiedersi come si colloca in questo contesto, di cui è emersa forse una dimensione più antropologica e sociale, come si è visto anche nel pomeriggio con le belle relazioni in ambito teologico (Cristina Arcidiacono sul concetto di casa nel Nuovo Testamento) e antropologico (Sabrina Tosi Cambini, Università di Firenze) e le due testimonianze dirette  di Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, e Macro Landucci, progetto BuonAbitare.

Il ruolo delle chiese emerge nella riflessione di fondo che ha permeato tutta la giornata: la volontà di superare un individualismo esasperato e controproducente e recuperare una dimensione di vita comune.

“Casa”, infatti, è stato detto in momenti diversi, è una realtà collettiva: per molte culture il concetto di “abitare da solo” è inconcepibile, dal punto di vista cognitivo ed emotivo (ha sottolineato Tosi Cambini), e a pensarci è il massimo grado dell’alienazione moderna: l’illusione che l’individuo possa bastare a se stesso, chiuso nella propria bolla di apparente autonomia. Un modello che salta completamente, lo si è visto bene nel gioco di ruolo svolto nel gruppo sull’housing sociale, in un momento di crisi personale o economica (divorzio, perdita del lavoro, malattia…).

Il recupero della dimensione collettiva, anzi è proprio il caso di dire comunitaria, è stato l’elemento cardine della giornata (il cui sottotitolo era appunto “abitare il territorio e vivere la comunità”), e non a caso è il punto focale allo stesso tempo della dimensione diaconale e di quella ecclesiastica, e il loro punto di contatto. Non è un caso che la riflessione sulla dimensione comunitaria, sul recupero delle relazioni, del senso di appartenenza (del “sentirsi a casa”), tutti aspetti che sono venuti a galla dal convegno, siano gli stessi delle discussioni condotte all’interno delle chiese in questi mesi.