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I popoli indigeni, fondamentali per combattere il cambiamento climatico

«Le popolazioni indigene, oggi in prima linea per contrastare gli impatti dei cambiamenti climatici, sono dotate di competenze specifiche per difendere l’ecosistema». Due gruppi (il gruppo di riferimento delle reti di popoli indigeni ecumenici e il gruppo di lavoro sui cambiamenti climatici del Consiglio ecumenico delle chiese – Cec), lo hanno sottolineato in occasione di un incontro preparato per discutere dell’emergenza climatica mondiale a Taiwan. 

I due gruppi lavoro, composti da teologi, persone indigene, scienziati ed esperti di ecologia e di economia internazionale, si sono incontrati in rappresentanza delle chiese di tutto il mondo, uniti da una preoccupazione comune: la fragilità ecologica del pianeta. 

L’incontro si è tenuto per la prima volta al Yushan Theological Seminary di Hualien, sulla costa orientale di Taiwan.

Mari Valjakka, moderatore del gruppo, ha ricordato quanto i cambiamenti climatici e i progetti di sviluppo in atto nel mondo, stiano minando anche gli stili di vita delle popolazioni indigene, soprattutto nell’Artico, una regione che si sta riscaldando più velocemente di altre nel mondo: «I pastori di renne, ad esempio, stanno perdendo i consueti mezzi di sostentamento per via del cambiamento morfologico di intere zone», ha detto Valjakka.

«Popolazioni indigene che sono scese in campo e si sono messe in prima fila per contrastare gli impatti climatici – ha ribadito Frances Namoumou della Pacific Conference of Churches con sede alle Fiji e membro del gruppo di lavoro –, sia per le loro storie sia per le loro competenze tecniche». Le banche di semi messe a disposizione dalle donne indigene «sono un esempio concreto» di questo percorso in atto.

Renemsongla Ozukum, indigena della tribù Ao-Naga nel nord-est dell’India ha citato la raccolta di semi resilienti dal Nagaland «che riescono a prosperare anche in condizioni climatiche estreme».

Diversi studi confermano quanto il contributo delle popolazioni indigene sia oggi fondamentale per la protezione dell’ecosistema. Una piattaforma, la Intergovernmental Science-Policy sulla Biodiversità e gli ecosistemi, afferma che il mutamento della biodiversità si stia accelerando «in modo inesorabile» sin dagli anni Settanta, ma che questo «inesorabile e allarmante» cambiamento, in realtà, è molto meno evidente proprio nelle aree geografiche gestite o controllate dalle popolazioni indigene.

L’incontro, infine, ha messo in evidenza quanto sia fondamentale anche il ruolo delle stesse chiese e della teologia e che vi sia oggi una necessità: «quella di andare oltre quelle che sono le nozioni occidentali relative al concetto di proprietà di gestione del bene comune». 

Chebon Glen Kernell della United Methodist Church degli Stati Uniti e membro del gruppo di riferimento, ha infine rilevato: «Gli esseri umani sono esseri “spirituali” e dunque anch’essi partecipi della Creazione. Questa relazione di uguaglianza tra gli esseri umani e la Creazione deve ricordarci che gli esseri umani hanno un potere di dominio sulla Creazione. Dunque, tale relazione dev’essere reciproca, rispettosa, e dev’essere utilizzata dall’umanità, che ha un ruolo chiave, per la protezione e la guarigione del Creato».

Un comunicato congiunto chiede di porre «il cambiamento climatico e la crisi ecologica mondiale in cima all’agenda ecumenica della prossima 11a Assemblea del Cec, che si terrà a Karlsruhe. Ciò, in considerazione dei risultati della relazione speciale del gruppo intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico pubblicata lo scorso anno e che ricorda quanto il tempo a disposizione per salvare il pianeta sia davvero limitato, forse meno di 10 anni. Per trasformare gli stili di vita e le economie mondiali per cercare di prevenire future catastrofi provocate dal cambiamento climatico».

L’incontro, ospitato dalla Chiesa presbiteriana di Taiwan dal 23 al 30 giugno è l’esordio «di una collaborazione importante tra i popoli indigeni, le chiese, e le persone di buona volontà impegnate per una giustizia climatica», ha osservato Lian Chin-Siong, funzionario ecumenico della chiesa di Taiwan, luogo geografico che sta avvertendo più di altri l’impatto dei cambiamenti climatici con i tifoni sempre più potenti e distruttivi.