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Un creato bello e fragile

Alla sessione di formazione ecumenica del Sae in corso ad Assisi, la giornata di martedì è stata introdotta liturgicamente lunedì sera al santuario di Rivotorto. Padre Ionut Radu, parroco per nove anni della Comunità ortodossa romena di Perugia e di Assisi, trasferito quest’anno a Milano, ha presieduto i Vespri ortodossi. L’intensa preghiera, terminata con la distribuzione del pane benedetto, una tradizione ortodossa mantenuta nei secoli come segno di benedizione ai fedeli, ha incluso un’omelia dell’arciprete, dedicata a San Francesco. Un santo molto amato dai romeni che hanno tradotto in lingua più di quaranta volte il suo Cantico di Frate Sole e amano la sua spiritualità, sentita «come un riflesso della spiritualità ortodossa nel mondo occidentale» ha spiegato padre Radu. Francesco è un uomo che fa confessione di lode e di umiltà e da voce a tutto il creato, sa vedere con gli occhi del cuore, si sente parte del tutto. Non poteva esserci modo migliore per annunciare la giornata sul tema “Un creato bello e fragile”, con la mattina dedicata alla relazione di Simone Morandini sul “Tempo del mutamento climatico: tra fragilità e responsabilità” e quella dell’arciprete ortodosso del Patriarcato ecumenico Sergio Mainoldi sul tema “Al di là dell’utile: bellezza e contemplazione del creato”.

Simone Morandini, vicepreside dell’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia, ha illustrato le fragilità e le responsabilità del tempo che gli esperti definiscono “antropocene”: un tempo nel quale l’agire umano si colloca tra le principali forze che determinano l’evoluzione biologica, fisica e chimica della terra. Non ci sono più dubbi sulla realtà del cambiamento climatico in atto e sul fatto che se entro quindici anni non si inverte la rotta si rischia il collasso irreversibile di ecosistemi. Già abbiamo visto sei isole di plastica in mare, abbiamo assistito alla devastazione di foreste, alle grandi migrazioni di profughi ambientali tanto che si parla di “apartheid climatico”.

Come abitare questo tempo di grandi contraddizioni e sofferenze?, si è chiesto Morandini. Ha risposto: Ascoltando la voce delle vittime, come suggerisce il Consiglio ecumenico delle Chiese; ascoltando il grido dei poveri e della terra, come scrive Francesco nella Laudato si’; ascoltando le giovani generazioni che ci parlano come Greta Thunberg». Ascoltare richiede di assumere uno sguardo diverso, di ripensare la responsabilità; di sapere che la terra è del Signore e noi siamo stranieri e ospiti. Significa cambiare immaginario, scelte personali, comunitarie e scelte politico-economiche, Diventare amministratori responsabili. Significa ritessere le reti della convivenza. Davanti a noi l’Agenda 2030 con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile proposti dall’Onu e a novembre, a Firenze, il III Forum di etica civile “Verso un patto tra generazioni: un presente giusto per tutti”, per una polis in armonia con la physis.

L’arciprete Sergio Mainoldi, partendo dall’affermazione del patriarca ecumenico Bartolomeo che «la crisi ecologica è frutto della crisi spirituale» ha messo in luce in che misura la sensibilità teologica e liturgica per la bellezza può contribuire a capire le ragioni spirituali della crisi attuale. La bellezza – ha detto – non può essere tale se non partecipa all’energia divina. La bellezza è relazionale; ha una funzione escatologica perché collega le cose create a Dio e a lui le riconduce. Il compito di custodire e di coltivare affidato ad Adam unisce la dimensione contemplativa e la dimensione della tecnica come prolungamento della creazione. Un’economia senza bellezza si spersonalizza e diventa accumulo di profitto. La concezione dell’utile si basa sulla spersonalizzazione e sullo spaesamento. La crisi spirituale porta a concepire inutile ciò che non è finalizzato all’utile in senso stretto. L’utile spirituale non viene considerato. La bellezza è un utile comune, condiviso, a lungo termine. L’equilibrio, secondo Mainoldi, non può che passare dalla riconsiderazione del ruolo della bellezza.

Foto di Laura Caffagnini