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E’ tempo di una legge sulla cittadinanza

Gli alunni che nell’anno scolastico 2019/2020 stanno frequentando le scuole statali (elementari, medie e superiori) sono 7.599.259. 800.000 circa, più di un decimo, sono stranieri. Il 63,1% fra quest’ultimi è nato in Italia da genitori non italiani, e per questo, secondo le normative in vigore, non ha diritto alla cittadinanza. Sono entrati nelle cronache di questi mesi gli esempi di giovani assi dello sport che non possono far parte delle squadre nazionali in quanto mancanti di regolare cittadinanza, o le difficoltà per gli studenti legate alle gite o a periodi di studio all’estero, per le quali servono solitamente visti aggiuntivi rispetto ai compagni. 

Negli anni si è parlato di riformare la norma, datata 1992, che in Italia prevede lo Ius sanguinis, cioè l’acquisizione per i figli della nazionalità dei genitori. Nella scorsa legislatura era stata avanzata una proposta concernente lo Ius soli, cioè la cittadinanza sulla base del luogo in cui si nasce, il modello statunitense per intenderci, che ora Trump ha messo in discussione minando uno dei fondamenti dell’american dream. La proposta venne bocciata dal Senato e se ne persero le tracce.

Lo Ius culturae, già ventilato in passato e tornato in augein queste settimane prevede invece l’acquisizione della cittadinanza per i minori nati in Italia da genitori non italiani al termine di un ciclo scolastico di almeno 5 anni. Se studi sei dei nostri, sennò no. Dunque oggi in Italia abbiamo una situazione in cui centinaia di migliaia di alunni stanno frequentando le scuole insieme ai nostri figli e nipoti ma che, in quanto genitori di non italiani, non hanno la cittadinanza. La Federazione delle chiese evangeliche in Italia è fra le 22 organizzazioni che dal 2011 hanno lanciato la campagna «L’Italia sono anch’io»,per riportare all’attenzione dell’opinione pubblica, e del dibattito politico, il tema dei diritti di cittadinanza e la possibilità per chiunque nasca o viva in Italia di partecipare alle scelte della comunità di cui fa parte.

Anna Ponente è direttora dell’istituto La Noce di Palermo, centro diaconale che fra le varie attività sociali annovera anche una scuola per l’infanzia e una scuola primaria: «Quest’ ultima – racconta – registra la presenza di un maggior numero di alunni e di alunne che non hanno ancora diritto di cittadinanza e che sono nati qui da genitori che vivono a Palermo da ormai diversi anni. La scuola dell’infanzia invece presenta un minor numero di bambini e di bambine, probabilmente anche a causa della forte crisi economica. Molte famiglie in questi anni si sono spostate verso i paesi altri paesi europei».

Discutere di cittadinanza e di diritti diventa quindi necessità oltre che motivo di apprendimento: «Per quanto riguarda i nostri alunni, il tema del diritto alla cittadinanza e alla libera circolazione è nei fatti affrontato quotidianamente all’interno delle classi.Il tema del confronto e della conoscenza di altri paesi, altre culture, religioni fa parte in modo del tutto naturale anzi spontaneo del percorso di ogni bambino o bambina all’interno del ciclo scolastico che si propone sempre di facilitare e stimolare lo sviluppo della curiosità e del rispetto verso l’altro in una prospettiva relazionale di cooperazione e di confronto».

Un’integrazione nei fatti: «Dal 2011 a oggi, osserviamo una presenza significativa di giovani provenienti da diversi paesi africani che frequentano i licei o i corsi professionali dopo il conseguimento della terza media: sono i minori stranieri non accompagnati, di cui non si conoscono sempre i dati esatti nelle iscrizioni scolastiche. Ricordiamo che il centro diaconale da tanti anni grazie all’otto per mille della chiesa valdese e metodista, da la possibilità alle famiglie di diversa nazionalità di iscrivere i loro figli attraverso borse di studio alla scuola valdese».

C’è poi il capitolo di chi in Italia è arrivato attraverso il Mediterraneo: «Diversa è senza dubbio la situazione vissuta dai tanti giovani sbarcati nelle coste siciliane e accolti a Casa dei Mirti (struttura di accoglienza) o in housing sociale. In questi casi, l’ingiustizia è evidente, ci troviamo di fronte a ragazzi che desiderano e sognano un futuro diverso ma sono bloccati dall’attuale normativa. Ragazzi che hanno accesso a borse di studio, a corsi professionali ma che vivono in una drammatica condizione psicologica di attesa e di paura». 

Ancora una volta la politica arranca, ancorata a slogan e ideologie, lontana dalle sfide del mondo reale, incapace di leggere il proprio tempo, che fare?

«È arrivato il momento di intervenire seriamente e di dare un forte segnale con azioni politiche concrete che mettano al centro di diritto delle persone ad avere accesso a tutti i diritti».