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Da oggi l’alpinismo è cambiato

Quando qui in Europa era piena notte Nirmal Purja raggiungeva la cima dello Shisha Pangma, 8027 metri, l’ultimo in ordine di altezza dei 14 colossi sopra quota 8000, uno, assieme al Cho Oyu, dei più “facili”. La notizia di per sè non avrebbe nulla di giornalistico se non che 189 giorni fa Purja saliva in vetta all’Annapurna (8091 metri) e dava il via al suo “Project possible” e cioè l’idea di salire tutti i 14 ottomila in sette mesi. Purja ha mantenuto le promesse, impiegandoci sei mesi e sei giorni. Un’impresa che rimarrà una pietra miliare nella storia dell’alpinismo ma sicuramente anche nella storia del piccolo stato nepalese. Il salto in avanti dell’alpinista è stato notevole: il precedente record apparteneva al polacco Jerzy Kukuczka (di cui in questi giorni si ricorda il trentennale della morte), che in 8 anni fra il 1979 e il 1986 salì su tutte le 14 cime più alte del mondo. Reinhold Messner, l’alpinista che ha aperto questa particolare “corsa” di anni ne ha impiegati 16. E sono poco più di 40 le persone che sono riuscite a completare questa particolare collezione. 

Purja è un ex soldato Gurkha e uno Special Boat Service, un’unità di forze speciali d’élite della Royal Navy del Regno Unito, dotato di una forza fisica e una determinazione oltre il comune che gli ha permesso di spingersi verso limiti che non sembravano avvicinabili dall’uomo. Solo negli anni ’70 per salire una montagna del genere, fra spostamenti, acclimatamenti e salita, ci si impiegava diversi mesi: oggi invece grazie agli spostamenti in elicottero dai vari campi base, grazie alle tecnologie e ai materiali innovativi, i tempi si sono contratti. Le difficoltà più grandi sono state di tipo economico (la logistica costa e solo grazie a donazioni di singoli cittadini da tutto il mondo e di sponsor il progetto è stato realizzato) e di burocrazia. Sembrava infatti che il progetto proprio nelle sue battute finali naufragasse per il veto della Cina a rilasciare permessi di salita proprio allo Shisha Pangma per questioni di sicurezza. Poi le petizioni e le pressioni del governo nepalese hanno fatto si che si facesse un’eccezione. 

Detto questo a Purja bisogna riconoscere l’idea e la volontà di tentare qualcosa ancora di intentato, di spingersi dove nessuno aveva mai osato. Emblematico è il caso del K2. Tutte le spedizioni a luglio stavano abbandonando l’idea di tentare una salita (condizioni proibitive della parte alta per la molta neve e vento forte in quota). Alcune avevano già lasciato il campo base quando il nepalese e la sua squadra sono arrivati e hanno iniziato senza indugi la salita. Sulle sue orme si sono quindi mosse le altre spedizioni ma a tracciare la via, non solo metaforicamente, è stato il nepalese. 

E Purja ha riscritto le regole dell’alpinismo, dimostrando ancora una volta che lo spazio per nuove avventure anche dove gli spazi e gli stimoli sembrano essere esauriti è ancora presente. Bisogna avere la capacità e gli occhi per leggerlo. L’impresa è storica, perché di questo si tratta, nonostante le critiche piovute da una parte del mondo alpinistico occidentale sull’uso di tecnologie, elicotteri e soprattutto ossigeno supplementare. Critiche che però sanno anche un poco di frustrazione per non essere stati in grado di provare a compiere una cavalcata del genere. E la “folle corsa” come qualcuno l’ha definita di Purja è anche un chiaro riscatto del popolo nepalese. Popolo che ha sempre fatto da comprimario alla corsa agli Ottomila (contesi fra gli stati occidentali, la Cina e il Giappone), che ha portato sulle spalle (e continua a farlo) tonnellate di materiale ai campi base e a quelli più elevati per permettere agli alpinisti di salire più comodamente, guadagnandosi così da vivere. 

Un popolo che si sacrifica per quello che l’alpinista francese Lionel Terray definì la “conquista dell’inutile” e che solo sull’Everest ha visto morire 111 nepalesi, quasi tutti intenti a spostare carichi o ad aprire la via nei punti più critici fissando corse e scale. 

Nonostante l’inutilità dell’alpinismo questo ci lascia ancora lo spazio per i nostri sogni, grandi o piccoli che siano, per le grandi sfide e per capire dove possano nascondersi i nostri confini.

E a sottolineare questa fantastica inutilità basti pensare che adottando un sistema metrico diverso da quello decimale (come nel Regno Unito) il concetto di “14 ottomila” perde completamente di significato… 

Ma l’impresa di Purja va oltre misure, metri e piedi.