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Le celebrazioni del 17 febbraio contro ogni antisemitismo

Jude. Juden Hier. Stelle di David. Queste sono solo alcuni esempi delle scritte che vanno a imbrattare sempre più spesso su porte, portoni e muri, a segnalare la presenza di membri di comunità ebraiche, ma anche di figli e nipoti di partigiani o di staffette partigiane. Atti di un antisemitismo recrudescente che coinvolge l’intera penisola.

Uno degli ultimi casi riguarda il torinese Marcello Segre: la sua porta è stata marchiata con pennarello nero e la scritta Jude accompagnata da una stella di David. Un gesto che non trova altre spiegazioni se non l’odio verso gli ebrei, con tutto ciò che esso implica.

Questi atti trovano terreno fertile in un contesto culturale particolare, quello di un’Italia che non ha fatto interamente i conti con il suo passato. A partire dal secondo dopoguerra sembra essere mancato, infatti, un serio ragionamento che potesse portare ad un’assunzione di responsabilità.

La sensazione è che ci sia un buco, che manchi qualcosa. «Non c’è stata alcuna riflessione su cosa siano state le leggi razziali. Nessuna», dice Patrizia Mathieu, Presidente del Concistoro della Chiesa Valdese di Torino. Una grande zona grigia, in cui una memoria non rielaborata riporta all’oggi situazioni e concetti del passato.

Affrontare questa condizione culturale appare molto complesso. Perché significherebbe riformulare il nostro attuale background sociale, significherebbe smuovere convinzioni ben radicate. Un processo che non può essere improvvisato e che dovrebbe prendere il via in maniera sistematica dal mondo dell’educazione.

In questo contesto, le celebrazioni del XVII febbraio possono assumere un significato e un valore ancora più importante. «L’impegno della Commissione Evangelica Per l’Ecumenismo (CEPE) – racconta Eugenia Ferreri, Presidente della CEPE – sarà portato avanti da punto di vista ecumenico, anche per far capire che è impossibile negare la Shoah e che bisogna riprendere una cultura di non negazionismo. Bisogna riprendere e combattere il risorgere dei fascismi, specialmente per quanto riguarda i giovani che devono ancora continuare a ricordare». In particolare, a Torino da tempo è stato instaurato un rapporto particolare tra la comunità ebraica e quella valdese, che permette di portare avanti molte iniziative, conferenze e studi biblici congiunti.

Le Lettere Patenti del 17 febbraio 1848 riconoscevano diritti civili e politici a valdesi ed ebrei, e oggi pare ancora più importante rimarcare questa vicinanza. Rivendicare i diritti conquistati e i diritti ancora da conquistare, questo è ciò che fonda le celebrazioni del 17 febbraio, ieri come ora. In questo modo, unitamente, si potrà far fronte a ogni forma di antisemitismo.

Foto di Paolo Ciaberta, falò in piazza Castello a Torino, 2017