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In Cristo abbiamo una promessa di vita

E se questa pandemia fosse la fine di tutto? Ricordo un vecchio racconto di fantascienza, in cui il mondo moriva lentamente ma inesorabilmente, soffocato da una polvere sottile che misteriosamente continuava a scendere dal cielo. Nessuna apocalisse pirotecnica, solo una morte per lento soffocamento, proprio come con il Coronavirus. Se non bastassero le misure di contenimento, e il contagio continuasse a diffondersi, fermando pian piano tutte le nostre attività, azzerando la nostra socialità, spegnendo la voglia di vivere nella paura della morte? Sono tanti i “se” che riempiono le nostre menti in questi giorni surreali di quarantena nazionale, in cui cerchiamo a fatica di conservare qualche vestigia delle vecchie abitudini, tenendo vive le relazioni con amici e parenti via video, nella speranza che tutto questo finisca presto. Qualcuno fa notare che, se davvero finisse così, con l’umanità si estinguerebbero guerre e oppressioni, violenza e sfruttamento… Se davvero il virus fosse la nostra fine, la vita nel mondo, vegetale e animale, continuerebbe per la sua strada e altre specie prenderebbero il nostro posto: sui social le battute sul pianeta che finalmente respira si sprecano, e in effetti ce le meritiamo tutte. 

Ma andrebbe bene così? No, e non per un mero istinto di sopravvivenza. La Bibbia ci dice che la creazione buona di Dio prevede anche l’essere umano; ci racconta di un mondo ricco e pieno di benedizioni per tutti quelli che lo popolano e di una umanità con enormi potenziali positivi. Ci parla, però, anche del peccato umano che stravolge i doni di Dio, mettendoci davanti alle nostre responsabilità: pessima gestione del “giardino” che ci aveva affidato, accaparramento ingiustificato delle risorse da parte di alcuni a scapito dei molti. E l’elenco si potrebbe dettagliare, soprattutto in questi giorni in cui i nodi vengono al pettine agli occhi di tutti: la follia della privatizzazione della sanità pubblica, la sua cattiva gestione, le mille disfunzioni delle nostre città, dovute al mancato rispetto quotidiano delle regole di convivenza… Eppure, secondo l’originaria volontà di Dio, anche la presenza nel mondo di noi esseri umani avrebbe dovuto far parte della sua bellezza, e le risorse per il bene di tutti non ce le ha mai fatte mancare.

In questo mondo dove invece tutto sembra essere andato storto, in cui ci chiediamo che cosa ancora abbia un senso, ci prepariamo alla settimana di Pasqua, che si apre con l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, la Gerusalemme occupata, malgovernata da una casta di sacerdoti corrotti e collusi con gli occupanti, lontana dalle necessità del popolo che avrebbe dovuto curare con amore e non sfruttare con rapacità, in qualche modo simbolo della città umana di ogni tempo e di ogni luogo. La Gerusalemme, però, che è anche casa di tanti sogni e di speranze, perché dimora del Signore d’Israele. E nella città santa Gesù entra da re, da vincitore, per ricondurla al suo vero significato, alla sua vocazione tradita. 

Noi credenti sappiamo che la sua regalità manifestata da Gesù nella domenica delle palme trova il compimento nella resurrezione della Pasqua. E sappiamo che prima di giungere alla resurrezione, deve passare attraverso l’umiliazione della passione e della morte in croce. Come in ogni esperienza umana, il Male allora si illuse di aver vinto, ma la Parola di vita risorse e rifiorisce ogni volta che l’annuncio della Pasqua viene ripetuto con fede. 

E oggi, allora? Non so se qualcosa cambierà veramente dopo la crisi che stiamo vivendo. Certo, sarebbe bello se ci fosse una classe politica capace di raccogliere la lezione che ci viene data in questi giorni per gestire l’Italia e l’Europa di domani secondo criteri di giustizia, equità e solidarietà. Che questa “resurrezione” si realizzi oppure no, a noi cristiani rimarrà ancora più chiara la vocazione che abbiamo ricevuto a vivere questa vita alla luce dell’evangelo e a ricordare al nostro mondo che Dio vuole rispetto per il prossimo e per il creato. Sì, dunque, ha senso celebrare la settimana santa, anche dal chiuso delle nostre case, perché abbiamo bisogno di ripeterci che la vittoria di Cristo è una vittoria sulla morte, e che la nostra città ha bisogno del re che entra a ricordarle la sua vocazione.

Il mondo non finirà domani, anzi! Ce lo ricordano anche le persone di buona volontà che continuano a lottare per la vita contro la morte: dai piccoli gesti dei volontari che la domenica mattina danno un po’ conforto ai senzatetto, al grande impegno degli operatori sanitari negli ospedali, passando per tutti quelli che rendono ancora possibile una vita “normale”. Chi rimarrà dopo questi giorni di dolore conterà i morti e li piangerà, non solo come vittime della nostra fragilità, ma anche come offerte sacrificali sull’altare del nostro peccato. Li piangerà nella fede che in Cristo noi abbiamo una promessa di vita: resurrezione per i morti e nuova esistenza – ogni giorno – per i vivi.

Foto: Gesù entra a Gerusalemme