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Un luogo sicuro per i più fragili

Sanatoria subito

Nella giornata di giovedì 9 aprile è stata indetta la manifestazione telematica “Siamo qui – Sanatoria subito”. Una campagna di sensibilizzazione sostenuta da centinaia di associazioni e realtà del mondo solidale e dell’ambiente antirazzista nazionale.

Un vero e proprio “mailbombing” dalle ore 9 alle ore 13 in cui da tutta Italia è stato possibile inviare agli indirizzi mail del governo (Presidente del Consiglio, Ministero dell’Interno) e delle prefetture locali (per ogni regione e per ogni provincia) un testo avente per oggetto “Richiesta di sanatoria generalizzata”. Sono più di 600mila le persone sul territorio completamente prive di permesso di soggiorno che vivono, lavorano e abitano in condizioni di fragilità e indigenza. Una condizione inaccettabile per un momento storico delicato, in cui ognuno, fuori dalle mura di casa, senza un’adeguata assistenza rischia l’esposizione al contagio e le sue eventuali conseguenze.

L’emergenza dall’interno

La situazione risulta grave anche nei centri di accoglienza e nelle strutture dedicate ai senza fissa dimora. Le nuove disposizioni e la carenza drastica dei dispositivi di protezione individuale continuano a mettere a serio rischio gli utenti e i lavoratori; infermieri, oss, medici e anche volontari. «Vorrei dirvi che ci mancano le risorse per far fronte a questa emergenza, che mancano gli strumenti per la nostra e altrui sicurezza, che sentiamo di essere dimenticati. Che siamo pochi in turno, che siamo spaventati anche noi, che tanti stanno male, che non vogliamo essere causa di maggiori contagi. Che anche noi abbiamo paura per noi stessi, per le nostre famiglie, per i nostri amici» si sfoga S.F.O., un operatore, sul suo profilo di Facebook. Persone bisognose e operatori lasciati completamente soli all’interno dei C.O.N. (Casa di Ospitalità Notturna), R.S.A (Residenza Sanitaria Assistenziale), R.A.F. (Residenza Assistenziale Flessibile) e Comunità (per disabilità, disturbi psichiatrici, tossicodipendenza, minori ecc.). Un mondo che resta sconosciuto ai più e che, solamente chi ci lavora e chi ci entra per chiedere un aiuto, impara a riconoscerne il valore e l’importanza. Soprattutto in questi tempi incerti, in questi giorni in cui bisogna stare al sicuro ma non tutti ne hanno la possibilità.

I venti del futuro

Accessibilità, fortuna, sembrano essere alcune tra le parole adatte e dolorose per raccontare i venti che con questa pandemia globale si sono alzati sul nostro Paese e non solo. In America, a seguito di sondaggi e studi collaudati, i titoli che giungono fino a noi sottolineano che a morire di più di Covid 19 per ora sono persone di etnia afroamericana. I più poveri, gli indigenti, coloro che sono privi di un’assicurazione sanitaria adeguata e che vivono in zone periferiche e economicamente instabili in cui isolarsi, non andare al lavoro e proteggersi è praticamente impossibile.

In Italia l’aria che si respira è simile, viene raccontata in superficie. Affrontarla di petto aggiungerebbe dolore ad altro dolore ma, come ha scritto la scrittrice Francesca Melandri (Roma, 1964) in un articolo pubblicato il 18 marzo sul quotidiano francese Libération –Lettre aux français depuis leur futur (Lettera ai francesi dal loro futuro) – “ […] il Covid-19 ha ribadito che appartenere a una certa classe significa far parte di gruppi diversi di persone, che possono contare su una maggiore o una minore tutela del corpo. E non parlo del corpo come metafora, ma del corpo reale, delle cellule e della materia che portiamo nel mondo”. E una volta finito tutto, il mondo che per ora, ancora, ci appartiene, avrà bisogno di una collettività forte e sana per ricominciare. Che i venti che la stanno attraversando ora questa collettività, possano portarle ciò di cui necessita per non fallire.