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Romanzi affacciati sulle cose ultime

«… noi ormai da tempo filosofiamo delle cose ultime sotto il segno di Dostojevskij. Soltanto il filosofare delle cose penultime è legato alla filosofia tradizionale». Con queste parole Nikolaj Berdjajev si esprimeva sui rapporti tra lo scrittore russo e la filosofia e, potremmo dire, anche sui suoi rapporti con la teologia. Certo La concezione di Dostojevskij(Einaudi 1945 e succ.) è opera molto parziale e per questo affascinante, è datata 1921 e ne risente. Ciò non toglie che ogni teologia sia portata a trovare un’apertura e un rilancio del proprio ragionamento proprio nell’escatologia, sull’interrogarsi e interrogarci sulle “cose ultime”, che siamo abituati a incontrare, con drammaticità, nelle pagine incompiute e frammentarie dell’Etica di Bonhoeffer.

L’espressione “schiena di Dio” – invece – si deve al filosofo Martin Buber (1878-1965) e si riferisce al fatto che gli esseri umani possono vedere solo «le cose contraddittorie e storte», che sono appunto la schiena di Dio. «La sua faccia invece – scrive Buber –, dove tutto è armonia, nessun uomo la può vedere». Almeno per ora; almeno fino all’avvento del Regno, possiamo aggiungere in quanto cristiani. Ma la nostra vita, e così anche gli strumenti che abbiamo a disposizione per raccontarla, e la letteratura è fra questi, devono limitarsi a questo lato imperfetto, non del tutto risolto, provvisorio e, naturalmente, legato alla nostra condizione di peccato. Verrà il giorno in cui potremo contemplare un mondo diverso. Certo, si può accennare, ambire a ciò che verrà, si possono lasciar trasparire le percezioni che abbiamo, incerte e confuse («come in uno specchio oscuro») di un futuro di redenzione e di salvezza, e molta grande letteratura guarda proprio a questo annuncio: un caso su tutti, la Sonja che raggiunge il Raskòl’nikov di Delitto e castigo in Siberia, per aspettare che egli sconti la propria condanna e sposarlo.

Del rapporto fra la letteratura e queste aspettative si occupa il corposo e affascinante studio di Francesco Brancato*, docente di Teologia dogmatica allo Studio teologico “S. Paolo” di Catania, che a un tema afferente ha già dedicato, due anni prima, Il futuro dell’universo. Cosmologia ed escatologia. Il volume, che si vale anche di una postfazione del filosofo Franco Rella, si inserisce dunque, con questa sua specificità escatologica, ad altri che anche recentemente hanno indagato il rapporto fecondo tra letteratura, e Teologia (v. fra gli altri M. Ballarini, Teologia e letteratura, Morcelliana 2015) e soprattutto il rapporto fra Bibbia e teologia (S. Bonati – S. Fontana, Bibbia e letteratura, Claudiana 2014; K. Schöpflin, La Bibbia nella letteratura mondiale, Queriniana 2013; S. Gentili, Novecento scritturale. La letteratura italiana e la Bibbia, Carocci 2016).

L’opera spazia dai capolavori universalmente riconosciuti (Moby Dick, Dostoevskij inevitabilmente, ma anche il Diario di un curato di campagna di Bernanos, molto Kafka, Thomas Mann, molto Leopardi ma anche Pirandello) a romanzi più recenti, ma soprattutto pone una serie di questioni tematiche e ci indica una serie di “situazioni” in cui la questione delle “cose ultime” si è approssimata alla cultura più moderna e anche a noi, interrogandoci e talvolta inquietandoci non poco. Certo, una “escatologia secolare” in molti casi, ma che non smette di interrogare le Scritture e la teologia. Vanno in questa direzione soprattutto le pagine dedicate ad autori nostri contemporanei, principalmente di area statunitense, e ai temi che sollevano: Philip Roth, che negli ultimi, inaspettatamente brevi romanzi, ha indagato le ossessioni di personaggi che stanno andando a morire; ma anche gli scenari fantascientifici di Don DeLillo (da Underworld alla descrizione della crioconservazione in Zero K) e quelli post-apocalittici di Cormac Mc Carthy. Non stupisce, e non deve trarre in inganno, che la posizione centrale sia dedicata al lunghissimo capitolo sulla morte e il morire, a cui seguono quelli, più brevi ma ugualmente densi, dedicati al giudizio e al paradiso come prospettiva di pienezza. Fra questi ultimi due, però, si colloca quello ancor più interessante dedicato al “sottoterra”: inferni quotidiani, ma anche vita nascosta, lato oscuro di ognuno e ognuna di noi. Di nuovo si affaccia Dostoevskij, i grandi ultimi romanzi, ma in realtà le Memorie dal sottosuolopercorrono come un basso continuo tutte queste opere.

Importante e stimolante anche la nota finale di Franco Rella, che accosta Karl Barth e Kafka, per introdurci a un rapporto dialettico sempre fecondo, che ognuno può arricchire con le proprie preferenze, tematiche o di autore. In fondo questo libro è bello anche perché rinvia a tanti bellissimi libri.

* F. Brancato, «La schiena di Dio». Escatologia e letteratura. Milano, Jaca Book, 2019, pp. 332, euro 28,00.

 

Foto: Don DeLillo, autore: Thousand Robots