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La cura delle persone passa anche attraverso il contatto a distanza

Più volte, da quando è scoppiata la pandemia del Covid-19, i giornali hanno intervistato lo psichiatra e saggista novarese Eugenio Borgna, di cui era da poco uscita l’autobiografia Il fiume della vita (Feltrinelli). In questo, come negli altri suoi libri che intrecciano psichiatria e poesia, letteratura, filosofia, ricorre il monito a essere costantemente in ascolto del paziente. Altre forme di terapia sono coadiuvanti, ma l’ascolto diretto è imprescindibile. Ne parliamo con Danilo Di Matteo, della chiesa metodista di Pescara ma residente a Chieti, dove lavora come psichiatra in uno studio privato, costretto al colloquio a distanza con i suoi pazienti.

«È come se i pazienti, tutti, fossero molto più misurati – ci dice –; tendono infatti a limitare all’indispensabile le richieste. Spesso sono io a sollecitarli al colloquio clinico telefonico. Si possono sommariamente distinguere tre situazioni: pazienti i cui sintomi si sono addirittura attenuati, con il ridursi degli stimoli esterni; pazienti più angosciati del solito, che riversano però le proprie inquietudini su altro, rispetto al virus; pazienti che riconducono esplicitamente la propria angoscia alla paura del contagio e, più in generale, alla situazione di emergenza che stiamo attraversando. In alcuni casi, poi, la conflittualità familiare si è un po’ attenuata; in altri, al contrario, si è purtroppo acuita».

L’adattamento forzato naturalmente è anche quello degli operatori e delle operatrici. Una situazione che è ben presente alla cooperativa sociale “La Riforma” di Firenze, sorta nel 1995 dal Centro sociale evangelico, costituito alcuni anni prima con il concorso delle diverse chiese evangeliche cittadine. Ispirato ai principi di responsabilizzazione e liberazione dell’individuo toccato da disagio psicosociale, promuove il pieno reinserimento delle persone. Come fare oggi? «Le persone con disagio psichico e disabilità intellettiva, spesso, non dispongono degli strumenti cognitivi per analizzare e rielaborare gli accadimenti sociali da cui vengono, quindi, travolte e destabilizzate – dice la coorodinatrice Elisa Cesan –. Il personale educativo è consapevole della necessità e dell’importanza di ripensare alla progettualità educativa individuale, proponendo attività che rispondano ai bisogni educativi e assistenziali e agevolino il mantenimento della relazione con gli educatori e le educatrici, con i compagni e le compagne del centro diurno, con amici e amiche esterne al centro diurno. La progettualità educativa è inoltre rivolta al mantenimento di differenti attività che si possono svolgere presso il proprio domicilio, anche con un educatore o educatrice in accordo con il servizio socio-sanitario di riferimento. Il mantenimento delle relazioni avviene principalmente attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici quali pc, tablet, smartphone, per telefonate, videochiamate e chat. Quotidianamente, attraverso questi strumenti, il personale educativo ascolta, sostiene e indirizza le persone con disabilità ad avere cura della casa, della propria persona, del proprio spazio; a fare le uscite per necessità in sintonia con le nuove regole, a svolgere attività tipo cucire, disegnare, cucinare, leggere, guardare dei film, ascoltare della musica, etc., ascoltando anche i famigliari o caregiver di riferimento. L’ intervento educativo quotidiano degli educatori e delle educatrici, in generale, agevola il mantenimento degli spazi di autonomia e delle capacità relazionali acquisite, fondamentali per la tenuta psichica delle persone con disabilità».

Infatti «Nel lavoro con le persone con disagio psichico e disabilità intellettiva – prosegue Cesan – le dimensioni che vengono a trovarsi più a rischio sono quelle legate all’autonomia personale (cura di sé, capacità di movimento a piedi o con mezzi pubblici nel contesto cittadino, fare la spesa, etc.) e alla capacità relazionale, con una possibile regressione anche nella comunicazione verbale. La perdita o il depotenziamento dell’autonomia personale e delle capacità relazionali hanno una ricaduta negativa sull’autostima, sulla fiducia in se stessi e sulla strutturazione del proprio Sé sottoposto ad una situazione di stress prolungato».

L’obiettivo, dopo questa fase, sarà di tornare “come prima” o meglio? «Spesso i pazienti psichiatrici (e i loro familiari) – conclude Di Matteo –, in seguito al crollo psicologico che hanno vissuto, si pongono l’obiettivo di tornare a essere “come prima”. E io, da medico, provo invece a dir loro che l’obiettivo dovrebbe essere quello di crescere e di stare meglio di prima, anche perché proprio da quel “prima” è scaturito il crollo. Ecco; analogamente, mi sembra di scorgere due reazioni fondamentali all’attuale emergenza: quella di coloro che invocano il ritorno alla “normalità” e quella volta a un nuovo inizio». Sarà un bel dibattito, ma al momento giusto: intanto, stiamo ancora in emergenza.