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Standing Rock, la battaglia continua

Ne avevamo parlato quattro anni fa, quando la mobilitazione delle popolazioni locali, della società civile e delle chiese ne aveva temporaneamente fermato la realizzazione. Il progetto dell’oleodotto Dakota Access Pipeline (Dapl), 1886 km di tubature interrate fra Nord Dakota e Illinois passando sotto il fiume Missouri, minacciava le riserve idriche della zona della riserva Sioux di Standing Rock, e quindi le sue popolazioni, inoltre nel suo percorso avrebbe dovuto attraversare un territorio sacro a diverse nazioni indiane (Sioux, Arikara, Mandan e Cheyenne settentrionale), il Sundance Ground. 

La mobilitazione delle tribù di nativi, supportati a livello nazionale e internazionale da chiese di diverse denominazioni, aveva portato a proteste pacifiche, veglie di preghiera, manifestazioni con ambientalisti e difensori dei diritti, facendo conoscere al mondo la vicenda e il nome di Standing Rock, che nell’estate 2016 era diventato un presidio permanente.

Nella vicenda si scontravano due opposte visioni, da un lato chi vedeva nella costruzione dell’oleodotto la creazione di posti di lavoro, il sostegno al fabbisogno energetico degli Usa, l’ottimizzazione del trasporto del greggio rispetto all’uso di camion o treni, dall’altro chi diceva che l’impatto ambientale di questo progetto da 3,8 miliardi di dollari sarebbe stato superiore ai benefici.

Le tribù native e i loro sostenitori avevano fatto causa al Genio militare, affermando che l’agenzia federale non aveva valutato l’impatto ambientale del progetto, e questo era stato (momentaneamente) sospeso.

A quattro anni di distanza, la storia non è ancora finita: nel gennaio 2017, infatti, il presidente Donald Trump, da poco entrato in carica, ha emesso un ordine esecutivo per la costruzione dell’oleodotto, che è entrato in funzione nel giugno 2017.

Dal 2016 si sono susseguiti diversi pronunciamenti del tribunale, e l’ultimo è arrivato ai primi di luglio di quest’anno. II giudice James Boasberg del tribunale federale di Washington, D.C., ha stabilito che il gasdotto deve essere chiuso e svuotato entro il 5 agosto, mentre viene condotta un’analisi ambientale approfondita del progetto; la revisione completa è prevista per la metà del 2021. Il presidente è amministratore delegato della Energy Transfer, Kelsy Warren, ha da subito annunciato battaglia, presentando ricorso. La storia è quindi destinata a procrastinarsi ancora per diversi mesi.

Nel frattempo, le chiese sostenitrici della protesta si sono rallegrate per la sentenza: tra queste 

la Chiesa metodista unita (Umc), molto attiva sebbene nessuna chiesa metodista sia presente nella riserva, come spiega l’articolo che commenta la sentenza, dove invece (in seguito alla storica divisione delle riserve indiane fra le denominazioni, nel XIX secolo) esistono congregazioni cattoliche ed episcopali. Solo di recente, appunto negli anni della protesta contro il Dapl, si è creata una relazione ecumenica che ha portato nella zona la presenza metodista, attraverso gruppi di volontari, ma anche sostegno a distanza del presidio attraverso l’invio di vestiti per affrontare il rigido inverno, o dell’istruzione dei bambini con l’invio di kit scolastici. E negli ultimi mesi, la Umc ha fornito assistenza durante la pandemia di Covid-19.

Anche la Chiesa episcopale ha applaudito la sentenza come una vittoria del popolo Sioux, pur consapevole che ci sarà ancora da combattere: da sempre sostenitrice della lotta di Standing Rock, il suo vescovo primate, Michael Curry, si era recato nel 2016 in visita per portare sostegno ai manifestanti, e centinaia di messaggi sono stati inviati al Congresso e ai dipartimenti federali per bloccare il progetto. Lo stesso Consiglio esecutivo della denominazione (ricorda l’articolodell’Episcopal News Service che commenta la sentenza) si è occupato della materia attraverso il suo Comitato per la responsabilità sociale delle imprese: «Lavorando con i partner ecumenici del comitato, i leader delle chiese avevano inviato nel 2017 diverse lettere alle banche che finanziano il gasdotto, chiedendo loro di rispondere delle questioni ambientali legate al progetto».

 

Foto: costruzione del Dakota Access Pipeline nell’Iowa centrale (foto Wikipedia)