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Le sfide per la ripartenza della scuola

Termoscanner, mascherine, gel idroalcolico, distanziamento. È questo il vocabolario che accompagna la ripartenza del nuovo anno scolastico. Dopo mesi in cui la scuola è stata “sospesa” e sostituita dalla didattica a distanza ora si torna a scuola ma con la stessa costante: la distanza. I banchi saranno posizionati a scacchiera, la cattedra a due metri dal primo banco, i ragazzi dovranno stare a un metro l’uno dall’altro, in palestra saranno proibiti i giochi di gruppo, gli intervalli si svolgeranno in zone circoscritte per evitare la promiscuità delle scolaresche.

Nel dibattito nazionale sulla ripresa della scuola sembrano scomparse le riflessioni pedagogiche sulle conseguenze didattiche e affettive che questa situazione avrà sul benessere di bambini e bambine e sugli stessi processi d’apprendimento. I negazionisti della pandemia attaccano le soluzioni proposte non con argomentazioni pedagogiche ma solo perché, sostengono, il virus è un’invenzione ed è il frutto di una cospirazione internazionale per abolire le libertà dell’individuo. Altri attaccano le scelte del Comitato tecnico-scientifico e del ministero dell’Istruzione semplicemente per scopi elettorali, sperando di costruire consenso solleticando i temi cari alla pancia del “popolo” e cioè incompetenza e improvvisazione dei politici al governo. Altri ancora si aggrappano ai pareri dei virologi, immunologi epidemiologi e pediatri per difendere la radicalità di queste scelte. Tutti quanti stretti dalle pressioni dell’opinione pubblica, di Enti locali, imprenditori, famiglie e sindacati i quali, da versanti opposti, vorrebbero più o meno severità nell’applicazione delle regole di prevenzione del contagio.

Il 14 settembre si torna a scuola finalmente ma le condizioni poste sono assai dure. L’educazione, se vogliamo andare alla radice della sua natura, è sostanzialmente progettualità di attività esistenziali ed esperienziali le quali creano sviluppo della persona, promuovono apprendimento e socialità. Le condizioni in cui torneremo a scuola, inutile nasconderlo, minano e demoliscono questo impianto. Torniamo a scuola sì, ma senza i corpi, senza i sensi e con una costruzione dello spazio che ricorda più una caserma che una scuola. I movimenti all’interno della scuola avverranno in fila indiana, sui visi si porterà la mascherina per coprire la bocca, i sorrisi, le smorfie, i baci, i sospiri e le sbuffate. La comunicazione non verbale sarà annullata.

Queste condizioni spazio-temporali non possono non condizionare l’agire educativo. La sperimentazione di percorsi educativi innovativi, laboratoriali, i lavori di gruppo e la costruzione sociale della conoscenza, rischiano di subire una forte frenata. Il progetto virtuoso che si stava progressivamente realizzando tra scuola, agenzie del terzo settore, associazionismo ed extrascuola, rischia di crollare miseramente. La scuola stessa, intesa come comunità, rischia di scomparire. Se i corpi, i suoi linguaggi, le esperienze e le emozioni saranno negati, censurati, puniti e compartimentati in cellette di plexiglass o in spazi autorizzati e controllati, allora lo snaturamento della scuola sarà compiuto. Il ritorno a scuola in queste condizioni può stravolgere a tal punto il setting educativo che bisogna al più presto correggere questa deviazione. Bisognerà soprattutto evitare il ritorno a una scuola coercitiva in cui si sentono urlare continui richiami a non far quello e non far questo, non toccare e non ti muovere. Nessuno vuole una scuola in cui i docenti sembrano più dei sergenti che dei facilitatori, dei domatori con il frustino invece che dei registi dell’apprendimento e dei leader educativi.

Le condizionalità sanitarie pongono una sfida enorme al personale scolastico: tornare a scuola senza snaturarla e senza cambiare la sua identità di comunità aperta e accogliente. La sfida di quest’anno, per docenti presidi e personale Ata non sarà solo garantire la sicurezza ma organizzare un ambiente ospitale e ricostruire quelle comunità di persone che sono le classi di una scuola, lavorando sui traumi generati dalle solitudini, sulla manifestazione delle emozioni, sulla creatività e sulla gioia di tornare a stare insieme. In primo luogo sarà il codice verbale e non verbale dei docenti che dovrà trasmettere il senso di questo necessario distanziamento senza trasformarlo in minacce, castighi e neppure in paura del prossimo. L’obiettivo è quello di organizzare l’ambiente scuola e l’attività educativa affinché conservi la sua peculiarità: essere una comunità di persone, un insieme di corpi, un reticolo di emozioni, una babele di linguaggi su cui si “appoggiano” apprendimenti significativi. Il toccare e il toccarsi, lo spingersi e l’abbracciarsi, il carezzarsi e l’azzuffarsi e tutta la sensorialità che la scuola favorisce, promuove ed elabora, rischia di scomparire sotto la continua minaccia e paura del contagio e della malattia.

Non c’è formazione che non passi attraverso la relazione corporea, sensoriale e affettiva. Sono le emozioni e i corpi che generano le tracce mnemoniche e le tessere esistenziali della nostra formazione. Mascherine, plexiglass e distanziamento sono una riorganizzazione materiale dello spazio che lascerà una traccia nella formazione dei nostri bambini e dei nostri ragazzi. Sarà l’assenza del contatto, della fisicità, del gioco di gruppo, della festa, delle “pizzate”, che resterà nella memoria di una generazione. La scuola e tutto il personale accetta questa temporanea condizione ma dovrà riflettere e prevedere le conseguenze e le ricadute anche sull’apprendimento ed agire in fretta per correggerle. Se è vero che si apprende facendo allora le scuole dovranno tornare a puntare sulla laboratorietà, la creatività, la sperimentazione come condizioni del benessere di bambini e bambine, ragazzi e ragazze.

Il gioco, l’attività all’aperto (finché le condizioni atmosferiche lo consentiranno) dovranno essere le basi su cui costruire gli apprendimenti, sapendo rinunciare all’ansia delle prestazioni scolastiche e alla tirannia dei contenuti del “programma” delle materie. In questa crisi la scuola può cogliere un’opportunità: rimettere al centro la persona e tutta la sua corporeità e complessità emotiva e affettiva, recuperando i linguaggi espressivi come l’arte, la musica e la motricità garantendo comunque il necessario distanziamento. Il tocco, come per Gesù che guarisce il sordo, il cieco e il muto, può diventare il tocco della rinascita.