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Amos Luzzatto ebreo del dialogo

Il 9 settembre, a 92 anni, si è spento Amos Luzzatto: medico, scrittore, esegeta ma soprattutto esponente di spicco dell’ebraismo italiano e, dal 1998 al 2006 presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei). In quegli anni collaborava anche alla rivista Confronti che si era ormai accreditata come la testata di riferimento del dialogo interreligioso in Italia e della battaglia politica e culturale per riconoscere e valorizzare il nuovo pluralismo religioso che si era consolidato anche nel nostro Paese. Di quella battaglia, che nonostante alcune apprezzabili successi non è stata mai pienamente vinta, Luzzatto fu un alfiere di prima fila. Con la sua storia personale e il peso della tradizione religiosa che si portava dietro, esprimeva – direi fisicamente – quale fosse il “posto degli ebrei” nella società italiana. «Il posto degli ebrei» è infatti il titolo di un suo libro pubblicato con Einaudi nel 2003: meno di cento pagine per scolpire l’identità degli ebrei della diaspora, che non sono “meno ebrei” di quanti scelgono di vivere in Israele; sta a loro testimoniare la vocazione universalistica dell’ebraismo e monitorare come sentinelle vigili quei rigurgiti di antisemitismo e di razzismo che attraversano anche le democrazia occidentali.

Ad affermarlo era un sionista convinto che, ancora minorenne, a seguito delle leggi razziali del 1938 aveva dovuto lasciare gli agi della vita borghese in Italia per fare l’aliyah, la “salita” in Israele. Erano gli anni tumultuosi del mandato britannico in Palestina. Ed è tra i libri del nonno Dante Lattes, uno dei più raffinati e noti intellettuali ebrei del Novecento, e la scavatrici dei kibbutz di una nazione che stava nascendo, che Amos plasmò la sua personalità. Lo studio e la pratica, la teologia e l’azione politica, la fede e la medicina, Israele e la sinistra. Binomi non sempre facili, anzi talvolta veri e propri ossimori che associano termini incompatibili tra loro. Ma proprio questa fu la battaglia culturale e politica di Amos, combattuta per dimostrare che si può essere sionisti e di sinistra, che si può sostenere Israele e persino combattere nel suo esercito avendo a cuore, allo stesso tempo, i valori della solidarietà sociale, della giustizia e della pace. Che fosse nelle sessioni del Segretariato per le Attività ecumeniche (Sae), nei convegni di Confronti o nei seminari accademici alla Sapienza, erano questi i temi sui quali Luzzatto insisteva con i toni pacati e fermi del raffinato intellettuale che citava la Bibbia in ebraico e che impreziosiva i suoi discorsi ricorrendo alla tecnica narrativa ed esplicativa del midrash

Negli anni della sua presidenza dell’ebraismo italiano, Luzzatto ha dovuto affrontare la crisi seguita all’attentato alle Torri gemelle del 2001. Per gli ebrei si trattò di un passaggio difficilissimo alla fine del quale molti di loro si spostarono su posizioni radicali, per approssimazione potremmo dire con la destra israeliana. Gli effetti di questo riposizionamento si avvertirono anche nella comunità italiana che, però, aveva un presidente che restava fermo nei suoi convincimenti politici di uomo “di sinistra”, convinto della necessità della pace tra israeliani e palestinesi e pronto a spendersi per il dialogo interreligioso. Furono anni di incontri importanti – primo tra tutti quello di Assisi del 2002, fortemente voluto da Giovanni Paolo II – in cui, attraverso le parole della fede, si cercava di tracciare vie di pace, a iniziare da quella nel Medio Oriente.

Sul piano interno vi fu un altro passaggio difficile e controverso della presidenza Luzzatto a capo dell’Ucei: nel 2003 Gianfranco Fini, leader di Alleanza nazionale e vicepresidente del Governo Berlusconi, annunciò la sua intenzione di visitare Israele. A buona ragione, in molti ritennero che fosse una mossa strumentale, tesa ad affrancare lui e il suo partito dall’eredità neofascista e implicitamente negazionista della Shoah che aveva caratterizzato quel Movimento sociale italiano in cui si era formato e di cui era stato segretario nazionale. La reazione degli ebrei italiani si divise tra l’indignazione per la strumentalità della visita che sarebbe arrivata allo Yad Vashem, il sacrario delle vittime, e la valorizzazione della buona intenzione di un leader di destra che voleva liberare se stesso e il suo partito dalle scorie di un neofascismo fuori tempo e irrimediabilmente giudicato dalla storia. Luzzatto si mise in mezzo ai due gruppi avanzando una proposta rischiosa e temeraria: Fini sarebbe andato in Israele ma accompagnato da Luzzatto, che gli avrebbe “spiegato” luoghi e contesti, pronto a bilanciare, correggere, smentire il suo autorevole ospite. Tutto filò liscio alla fine Fini dichiarò che il fascismo era stato parte del “male assoluto del XX secolo”. Frase con un timbro assai diverso dall’affermazione pronunciata pochi anni prima per cui le leggi razziali erano state un semplice “errore” che aveva prodotto un “orrore”. Traghettare la destra neofascista al conservatorismo liberale non è un’impresa semplice o esente da rischi ma Luzzatto la ritenne possibile e, in qualche modo, volle provarci. E crediamo ebbe ragione.

Amico del mondo protestante e della testata Confronti, nel 2003 Luzzatto partecipò a una tavola rotonda svoltasi nella classica serata “del lunedì” del Sinodo delle chiese valdesi e metodiste. Nel tempio di Torre Pellice gremito di persone lanciò un’idea che suona ancora attuale, quella di un «forum permanente per le religioni, un luogo di incontro e discussione per conoscersi, dialogare e lavorare insieme per il bene comune. Insieme le religioni devono combattere stereotipi e pregiudizi, insieme devono promuovere la reciproca conoscenza». Ci piace considerarlo il testamento di un uomo di fede che credeva nel dialogo come strada per la pace e la giustizia. 

Foto da Moked.it