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«Finalmente ci incontriamo di nuovo»

Dal 9 all’11 ottobre 2020 si riunirà a Roma, per la sua prima sessione, il XXIII Sinodo della Chiesa Evangelica Luterana in Italia. Un sinodo in formato ridotto ma, proprio per questo, un segnale forte in questi tempi difficili di pandemia: «Ci incontriamo di nuovo. Decidiamo insieme». 

Più di quattro quinti dei sinodali hanno confermato la propria partecipazione ma non ci saranno ospiti. Gli argomenti sono limitati, anche se c’è molto da pensare per il futuro. Al centro come dice anche il titolo, “Scegliere = Wählen”, le elezioni del presidio sinodale e dei membri laici del concistoro. La sicurezza dei partecipanti è garantita. Distanza, mascherina, aerazione regolare dei locali.

Un’intervista con il decano della Celi, Heiner Bludau.

 

Sinodo digitale o in presenza. Una decisione difficile?

«In effetti, una decisione non facile, molto combattuta. Alla fine, il fattore decisivo è stata la disponibilità dei membri sinodali a partecipare».

Un sinodo che sarà completamente diverso dai precedenti…

«Esatto. Sarà caratterizzato da un’agenda più che concentrata e da molte e rigorose misure di sicurezza anti-Covid. Non ci sarà spazio per molte delle cose che avremmo voluto discutere e decidere. Il tempo a disposizione è molto limitato. Abbiamo delle scadenze da rispettare, l’approvazione dell’operato del Concistoro, l’elezione del nuovo Presidio e dei membri laici del Concistoro. Sarà un sinodo tra di noi, sempre per motivi di sicurezza abbiamo dovuto infatti rinunciare a contributi esterni con l’obiettivo di ridurre i tempi al minimo. Ma quello che conta è che ci incontreremo. E di questo sono felice. Per questo dovremmo tutti esserne grati. Per me personalmente questo “Ci incontriamo di nuovo!” è un segnale molto importante in quanto per me essere chiesa non significa solo annunciare la buona novella, la chiesa vive di comunità, la chiesa è comunità vivente».

La pandemia di Covid ha segnato fortemente l’ultimo anno della(e) chiesa(e). E ancora non si riesce a vederne la fine. L’esperienza Covid, invece, ha messo in moto molte cose…

«Al Sinodo siamo chiamati a tracciare il cammino dei prossimi anni, dobbiamo decidere cosa portare avanti, come andare avanti. Come affrontare le restrizioni ancora in atto e prevedere come reagire di fronte ad eventuali nuove misure».

All’ultimo Sinodo fu istituita una commissione digitale. La pandemia ha anticipato giocoforza molte cose che vanno esattamente in quella direzione. Qual è la sua posizione sul tema del digitale?

«Il periodo del lockdown ha dimostrato che incontrarsi come comunità in modo digitale non solo è possibile, ma può essere anche fruttuoso. È un processo che si è messo in moto per necessità, lo sappiamo. Un processo senz’altro importante per il futuro della Chiesa. Ma ora si tratta anche di riflettere su queste esperienze, riflettere insieme. Dobbiamo valutare come procedere con il digitale. Cosa è buono, cosa non lo è? Dove sono i limiti? Tutto questo non succederà da un giorno all’altro, è un processo che ha bisogno di tempo, che non bisogna forzare. Il digitale può sostituire molte cose, ma non tutto. La modalità online ha aiutato alla nostra chiesa a non perdere il senso di comunità durante la separazione sociale. Ma abbiamo raggiunto dei limiti. Dopo il Sinodo si incontrerà anche la conferenza parrocchiale e devo ammettere che sono molto felice che dopo molte videoconferenze finalmente ci si possa vedere in faccia. Il che non esclude la possibilità di continuare a vedersi anche in videoconferenza. E questo vale anche per il Concistoro. La Celi è una piccola chiesa con possibilità limitate, ma negli ultimi mesi abbiamo sviluppato una grande creatività per poter vivere e trasmettere la comunità. E questo in modi molto diversi. E devo dire che il lockdown in un certo senso ci ha avvicinati l’uno all’altro. E questo rimarrà. Ma dobbiamo anche mettere nuove radici. Dobbiamo riflettere su tante cose… E questo si fa meglio insieme, in uno scambio diretto, nel contatto diretto, uno di fronte all’altro».

Nel senso di non tornare semplicemente alla normalità?

«Esattamente. La situazione è cambiata, dappertutto. Possiamo e dobbiamo imparare l’uno dall’altro. Dobbiamo adattarci a nuove forme di contatto con le persone, non sarà più possibile pianificare certe cose in anticipo. La flessibilità è all’ordine del giorno. Questo vale anche per il nostro Sinodo, non è ancora certo al cento per cento che si terrà effettivamente. Noi siamo pronti, ma sappiamo anche che ancora il prossimo 7 ottobre può arrivare la disposizione di sospendere tutto. Anche in questo frangente dobbiamo essere flessibili ed essere pronti ad una soluzione alternativa».

Uno dei compiti della Chiesa è anche fornire punti di riferimento?

«In effetti, questo è un contributo molto importante che la Chiesa deve e può dare. La fede fornisce punti di riferimento. Il Regno di Dio non consiste nella semplice realizzazione di obiettivi politici. La prospettiva del regno di Dio ci dà sicurezza e serenità e ci permette un certo distacco dai problemi attuali. La fede è un’altra dimensione che ci permette ad affrontare le cose con una certa serenità. Il che non significa che siamo insensibili, che non partecipiamo. Ma come chiesa nell’oggi abbiamo la certezza che ci sia anche dell’altro…».

Una sorta di distanza di sicurezza, ma senza distacco?

«Giusto. Siamo ben consapevoli dei problemi. Li affrontiamo. Ci facciamo coinvolgere, aiutiamo, alziamo la voce. Che si tratti della questione dei rifugiati, dove siamo molto attivi a livello nazionale e locale, o di altro, poco cambia. Solo pochi giorni fa abbiamo iniziato una campagna di raccolta fondi per la ONG Refugee4Refugees attiva nel campo di Moria, a Lesbo. Insieme alle altre chiese protestanti in Italia, nell’ambito della FCEI, sosteniamo diversi altri progetti per i migranti. L’ecologia e la sostenibilità sono delle tematiche sempre più importanti per noi. Cerchiamo di essere presenti ovunque ce ne sia bisogno. Questo dimostra la diversità dei nostri progetti: per gli anziani e i disabili, per i bambini, per le persone con un background sociale difficile, per i rifugiati… Ma in tutto questo non dimentichiamo la cultura e soprattutto la cura pastorale».

Senza voler anticipare nulla: La sua relazione per il Sinodo inizia con un appello…

«“Non temete!” Questo è anche il mio motto personale per il Sinodo 2020. Il mio credo e la mia esperienza dei mesi passati… In ogni caso, non vedo l’ora di poterci incontrare nuovamente tutti insieme il prossimo 9 ottobre!».