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I migranti, ascoltiamoli, guardiamoli

«Fornire a rifugiati e migranti un luogo di formazione e di crescita professionale dove poter condividere preoccupazioni, sfide e aspirazioni, può aiutarli ad affrontare anche temi spinosi e spingerli a costruire ponti con le comunità ospitanti», queste sono le valutazioni emerse in occasione di una recente conferenza online tenutasi il 16 ottobre scorso e promossa dall’Associazione per la comunicazione cristiana – World Association for Christian Communication (Wacc). Ne parla oggi il sito, graficamente ristrutturato di recente, del Consiglio ecumenico delle chiese(Cec).

Nel corso dell’incontro Daoud Kuttab, il direttore generale delCommunity Media Network in Giordania, ha ricordato che la sua organizzazione ha deciso di focalizzare le sue attenzioni in particolar modo sulla popolazione di rifugiati siriani: «Per contrastare l’incitamento all’odio riversato nei loro confronti, il modo migliore è stato dar loro direttamente la voce, far raccontare le loro storie e i loro problemi».

Sono circa 1,3 milioni i rifugiati siriani che risiedono in Giordania, molti dei quali arrivati ​​durante la guerra civile siriana del 2011.

«I rifugiati siriani, non hanno voce. Non hanno rappresentanti; nessuno chiede loro un’opinione», ha proseguito Kuttab. 

«Molte organizzazioni internazionali, poi, credono di sapere cosa sarebbe necessario fornire loro; nessuno in realtà chiede a queste persone di cosa davvero avrebbero davvero bisogno».

Il Community Media Network ha iniziato la sua opera di formazione, principalmente rivolta a rifugiati siriani in età universitaria, fornendo loro i principali elementi di abilità giornalistica, in particolare modo concentrandosi su come si dovrebbe produrre un programma radiofonico. 

Da questo impegno è nato Syrians Among Us, un programma radiofonico supportato da organizzazioni internazionali non governative, tra le quali la Wacc.

«Il racconto, attraverso l’autorappresentazione, dunque non filtrato da altri, permette una narrazione diversa, utile a contrastare stereotipi e pregiudizi», ha ricordato Kuttab.

Maria Teresa Cutimbo, coordinatrice del progetto della Coordinadora de Medios Comunitarios Populares y Educativos del Ecuador (Rete ecuadoriana di media comunitari, popolari e educativi), ha sottolineato quanto sia importante riuscire a capovolgere la comune percezione stereotipata, legata ai migranti e ai rifugiati.

Percezioni negative, tutto il mondo è Paese, avvertite anche in Venezuela, in Ecuador e in Colombia. 

«Il rifiuto della popolazione migrante non ha confini» ha infatti detto Cutimbo, «migranti che nella migliore delle ipotesi sono percepiti come persone che non contribuiscono all’economia, che generano povertà o peggio che s’impegnano in attività criminali».

Stereotipi negativi da scardinare, «non a caso la rete ecuadoriana ha lanciato nel luglio 2020 un progetto finanziato dal Wacc teso alla formazione e alla comunicazione e in particolar modo indirizzato al giornalismo investigativo».

La produzione d’inchieste legate ai diritti dei migranti e ai diritti umani, ha proseguito «hanno certamente contribuito a equipaggiare le persone coinvolte di nuove abilità».

Cutimbo ha poi ricordato quanto «la pandemia di Covid-19 abbia reso le cose più difficili per rifugiati, persone vulnerabili, malati, precari, persone che non hanno avuto la possibilità d’accesso all’assistenza sanitaria».

Kuttab, chiudendo l’incontro ha poi ricordato che il progetto della Community Media Network è stato un «Importante momento di formazione per tanti giovani rifugiati siriani», molti dei quali stanno «già lavorando in testate giornalisti e media di varia natura, radio e televisioni; il progetto di formazione è stato un modo per parlare anche dei loro problemi, un’iniziativa che ha prodotto buoni risultati». Poi, ha citato alcune storie investigative nate dal lavoro di formazione: «una serie radiofonica dedicata a una vicenda che ha visto molte donne essere sfruttate per realizzare matrimoni irregolari attraverso documenti falsi nel Campo di Zaatari che poi ha spinto il governo giordano a inviare nel Campo un religioso e a far aprire un ufficio per registrare i matrimoni e un altro programma che ha deninciato l’esistenza di un campo profughi sconosciuto e nel quale ora l’Unhcr è entrato per fornire supporto». Programmi radiofonici che hanno dato ai rifugiati siriani un microfono per «parlare di loro e dei loro problemi; per ribadire le loro vere necessità, diverse da quelle ritenute tali dalle agenzie di soccorso», ha concluso Kuttab.