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L’opera di consolazione compiuta da Dio

Io, io sono colui che vi consola; chi sei tu che temi l’uomo che deve morire?
Isaia 51, 12

Colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo
I Giovanni 4, 4

Il nostro testo proviene dal secondo Isaia, chiamato anche il libro della Consolazione che racconta le speranze del prossimo ritorno degli ebrei esiliati in Babilonia a Gerusalemme. Ogni generazione vive la propria esistenza ad un’altezza diversa, condizionata dalla propria circostanza storica, cioè dal tempo che vivono (non solo gli individui, ma anche le generazioni vivono condizionati dalle loro circostanze concrete). Possiamo immaginare dunque quali fossero le circostanze degli israeliti del tempo, condizionate temporalmente dalla situazione di esiliati che sognano l’incerto ritorno alla propria terra d’origine. La situazione vitale doveva corrispondere a quella di chi sta per lasciare il lutto per fare festa, il cordoglio e il vestito di sacco si trasforma in gioia ed esultanza per l’imminente ritorno a Gerusalemme, la santa città di Dio. Ma non era così e gli esiliati dubitavano della parola profetica. Invece il profeta ribadisce che questa sarà l’opera di consolazione che “compirà Dio stesso nella vita degli esiliati”, l’Io che parla nell’oracolo s’identifica con il Nome di alleanza “Io sono”.

Dall’origine della consolazione nell’operare concreto divino nella storia viene l’esortazione posta a forma di domanda: “chi sei tu che temi l’uomo che deve morire?” Se era chiaro chi parlasse agli esiliati – Dio stesso che è – ora la domanda è su chi siamo noi. Poiché l’ostacolo alla liberazione dall’esilio è la potenza babilonese, la “consolazione” sembra impossibile, una meta irraggiungibile. Allora, Israele deve ricordare due cose: chi sia l’Iddio che adoriamo e “chi siamo noi”, il popolo di Dio oggetto della sua scelta di grazia: dopo la punizione per il peccato giungerà il tempo della grazia. Una volta che abbiamo ricordato chi sia il nostro Dio e chi siamo noi per Dio, potremo avere la certezza incrollabile della sua opera in nostro favore che nessun uomo mortale, nemmeno il potente re babilonese, o un virus letale potranno impedire e nemmeno ritardare.