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L’ospitalità eucaristica tra opinioni e dogmi

«Il termine “ospite” indica sia colui che offre l’ospitalità sia colui che la riceve, poiché entrambi i soggetti sebbene con ruoli differenti sono accomunati dal valore evangelico dell’accoglienza. “Ospitalità eucaristica” è un modo per dire che siamo tutti ospiti dell’unico Signore che, in ogni chiesa, ci invita e accoglie alla sua mensa», così si legge in apertura del volume Ospitalità eucaristica: in cammino verso l’unità dei cristiani* curato da Margherita Ricciuti e Pietro Urciuoli. Ne parliamo con il pastore e professore Paolo Ricca perché il libro s’ispira e parte dal documento La Cena del Signore, che egli ha redatto insieme al teologo cattolico Giovanni Cereti. Il volume riesce, con voci rappresentative delle principali chiese, nell’intento di spiegare, anche ai “non addetti ai lavori”, le posizioni, le origini dei dissidi, i traguardi raggiunti oggi, con i testi (ben 19, anche al femminile) redatti e ispirati al recente documento di Ricca e Cereti. Un vero e proprio manuale ecumenico, utile alla comprensione di un percorso storico articolato e pur sempre in precario equilibrio.

– Perché nel libro si parla di apartheid eucaristico?

«Il sacramento della Cena del Signore nel tempo della storia è diventato uno vero e proprio strumento di disciplina ecclesiastica. L’esclusione dalla Cena del Signore è stata usata come una scomunica, un allontanamento dalla comunione eucaristica (per distinguerla da quella dell’allontanamento dalla comunione della chiesa), diventando nel tempo della chiesa antica una vera e propria sanzione; una penitenza che prevedeva periodi anche lunghi dalla partecipazione alla Cena del Signore. Sin dall’antichità, dunque, per disciplina ecclesiastica v’era questa consuetudine: escludere dalla condivisione eucaristica. Una prassi discutibile e non presente nei testi biblici. “Apartheid eucaristico”, dunque, è certamente una definizione che può risultare radicale, ma non credo eccessiva. L’abbiamo utilizzata proprio per segnalare quanto l’esclusione dal Sacramento fosse e sia tuttora una prassi negativa, deleteria, escludente. Nessuna chiesa può impadronirsi dei Sacramenti perché sono doni, doni dei quali non siamo padroni, tantomeno proprietari».

– Nel libro emerge una critica di Carmine Napolitano: egli, pentecostale, lamenta che nel documento La cena del Signore non ci sia «alcun riferimento all’azione delle Spirito nella celebrazione della Cena e nella partecipazione a essa». Come rispondere?

«Carmine Napolitano ha perfettamente ragione quando afferma che nel nostro documento manca un esplicito riferimento allo Spirito Santo e che dovrebbe essere invocato espressamente prima di ogni celebrazione eucaristica. C’è, tuttavia, chi critica questa epiclesi [benedizione dal greco, ndr], affermando che lo Spirito essendo già stato invocato all’inizio del culto non dovrebbe essere più invocato nel momento in cui si celebra la Cena. Tuttavia, credo che sarebbe importante invocarlo nuovamente prima di ogni celebrazione della Cena, proprio per affermare che è soltanto lo spirito di Dio che può rendere efficaci le parole pronunciate dall’uomo ripetendo le Parole di Gesù, parole che sarebbero senza alcuna efficacia, se non rese potenti dallo Spirito. L’invocazione è dunque l’unica via per dare al credente che riceve questi doni – e ai doni stessi – le “qualità” che, senza lo Spirito, non potrebbero avere. Dunque, se potessimo riscrivere ora il documento, colmeremmo certamente l’assenza non intenzionale».

Alcune tappe citate nel volume: la Concordia di Leuenberg e il Testo comune sui matrimoni interconfessionali. Perché sono così importanti?

«Perché con la Concordia di Leuenberg del 1973 si stabilisce ufficialmente, si fonda teologicamente, la piena comunione eucaristica per la celebrazione della Cena tra le chiese riformate e quelle luterane. Ricordo che il cammino non fu facile e che ancora nel 1529, dopo il colloquio purtroppo fallimentare di Marburgo, le due chiese “non” celebravano la Cena insieme pur avendo molte prerogative in comune, che furono elencate anche nel documento. Lutero affermava che nel pane vi fosse la presenza reale del Corpo, ossia la corporalità, corporaliter, di Cristo. Mentre per Zwingli lo Spirito era presente nella Cena senza poterlo collocare precisamente o dargli una collocazione. Dunque lo Spirito entrava armoniosamente nell’evento complessivo dell’atto; ossia quello di ricevere quel dono con l’ostia o con il pane, senza alcuna transustanziazione, posizione identica a quella di Calvino. Dottrina, quella della transustanziazione, che lo stesso Lutero non accettava, seppur ritenesse fosse reale la presenza del Corpo di Cristo nel pane. Le due tradizioni riformate percorsero spesso vie parallele senza mai incontrarsi dal punto di vista teologico e pratico in tema di Cena del Signore».

– L’altro documento, invece?

«Ci porta inevitabilmente su piani diversi. Non v’è nessuna base teologica; bensì una decisione condivisa di tipo pastorale. La spiegazione è semplice: nel momento in cui si afferma l’unità della coppia nel matrimonio, il fatto che proprio in occasione della celebrazione del sacramento della Cena, marito e moglie possano essere divisi era una contraddizione palese e ingiustificabile. Dunque, si è deciso di aprire alla possibilità di una condivisione eucaristica per coniugi cattolici e evangelici proprio in virtù dell’unità».

– Tra gli interventi c’è quello di Pietro Stefani che ricorda il tema della coscienza…

«Il mio pensiero corre immediatamente alla Dieta di Worms. Lutero proprio allora pose al centro della sua esposizione il tema della coscienza, ancora dirimente per i protestanti di oggi, come quello della responsabilità».

* Altri contributi di E. Benedetto, H. Bludau, A. Casinasco, G. Dotti, E. Genre, A. Grillo, H. Gutierrez, U. Jourdan, D. Jouvenal, G. La Rosa, E. Mazza, C. Napolitano, L. M. Negro, S. Nicoletto, E. Paschetto, A. Potente, E. Scognamiglio, A. Squitieri e P. Stefani. Torino, Claudiana, 2020, pp. 179, euro 16,50.