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I 12 punti della Rete Pace e Disarmo per usare i fondi del Recovery Fund

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza varato dal governo Conte, è ora in mano a un nuovo Governo che dovrà continuare il dibattito sull’investimento dei fondi del Recovery Fund che l’Europa ha destinato all’Italia.

La Rete Italiana Pace e Disarmo (RiPD) interviene nel dialogo, perché queste risorse possono essere per tutti noi un’occasione. L’ambizione è quella di portare il Paese a realizzare politiche di pace e disarmo, investendo in ambiti strategici che portino alla realizzazione di un percorso di rientro nei valori fondanti della Repubblica Italiana, sottolineati dalla Costituzione. Un documento costituente che ha le sue radici nel clima europeo di aspirazione alla pace e di valorizzazione dell’individuo e della società.

Un primo documento programmatico, firmato dal Governo Draghi, è già uscito a metà gennaio e proprio a partire da questo la RiPD fa le sue proposte, per cominciare con i temi che danno il nome alla rete, pace e disarmo, assenti da questa prima bozza.

Finora le proposte di investimento che sono arrivate su questi fondi riguardano progetti e aggiustamenti specifici, mentre la RiPD ha ritenuto di fare una valutazione più generale, cogliendo l’occasione per ripensare degli interi sistemi, a partire da quello dell’educazione.

«Visto che bisogna ripensare tutto – dice Massimo Valpiana, membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento – ripensiamo anche ai limiti che ci sono stati nello sviluppo, così come finora è stato concepito. Non deve essere centrale la quantità, aumentare il Pil, aumentare la ricchezza, aumentare i consumi, eccetera… ma pensare alla qualità delle proposte e soprattutto focalizzarsi a pensare su quale sarà la qualità della vita delle prossime generazioni».

Ci sono, in questo percorso, questioni più complicate di altre, come per esempio il peso che il mercato dell’esportazione di armi ha sull’economia del nostro paese. Su questo Valpiana dice: «Sono un tipo di esportazione che arricchiscono i produttori, ma non distribuiscono in nessun modo la ricchezza nel Paese o alla popolazione in generale. Quindi da un punto di vista economico, per non parlare di quello etico, sono produzioni che non restituiscono ricchezza che può essere utilizzata e reinvestita. La riconversione che proponiamo, ovviamente comprende la tutela dell’occupazione. Ricordo che quando il Governo, giustamente, decise di interrompere il rifornimento di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi per le evidenti violazioni dei diritti umani nel conflitto in Yemen, chi ci ha rimesso sono le fabbriche che sapevano produrre solo bombe, che oggi si trovano in difficoltà. Una riconversione porterebbe quindi anche vantaggi economici, oltre che etici».

E poi scuola, educazione, sanità, territorio, politica estera e servizio civile. Ecco le dodici proposte della Rete italiana Pace e Disarmo:

–       Una nuova politica estera che definisca come interesse nazionale il co-sviluppo con i popoli del sud e la soluzione negoziata dei conflitti

–       Spostamento consistente di fondi dalle missioni militari all’estero verso la cooperazione e gli aiuti allo sviluppo.

–       Inserire come obiettivo del PNRR la riconversione dell’industria militare all’industria civile, con fondi per lo sviluppo locale sostenibile.

–       Istituire l’Agenzia Nazionale per la riconversione, dotandola di fondi necessari per ricerche e studi.

–       Nel fondo per le “strategie territoriali” relativo al territorio del Sulcis occorre considerare come azione prioritaria la riconversione della produzione di armamenti.

–       Promuovere la Difesa Civile non armata e Nonviolenta, riattivando il percorso di discussione e di approvazione della proposta di legge di origine popolare: una riforma organica del sistema di difesa del nostro paese, in ottemperanza con gli articoli 11 e 52 della Costituzione.

–       Inserire nelle opportune Missioni del PNRR le politiche della Difesa civile e nonviolenta che comprenderanno i Corpi civili di pace e l’Istituto di ricerche sulla Pace e il Disarmo e avranno forme di interazione e collaborazione con il Dipartimento della Protezione civile, il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ed il Dipartimento per le politiche giovanili e il Servizio Civile Universale.

–       Mantenere il Servizio Civile Universale nell’ambito delle azioni di “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore” per valorizzare appieno il ruolo chiave che il Terzo Settore svolge nel sistema del SCU e l’impatto dei giovani volontari nelle comunità.

–       Potenziamento e stabilizzazione del contingente annuo del Servizio Civile Universale: i 250 milioni chiesti all’Europa che si aggiungono ai 400 stanziati per il 2021 e il 2022 dal Governo devono significare contingenti di 80.000 opportunità all’anno per una stabilizzazione vera.

–       Valorizzazione delle competenze acquisite dai giovani nell’anno di servizio civile universale. L’Italia e l’Unione Europea hanno tutto da guadagnare da giovani generazioni che sono consapevoli delle competenze (civiche, trasversali e professionali) di cui sono portatrici.

–       L’educazione alla pace, alla nonviolenza e al rispetto dei diritti umani venga inserita nei programmi scolastici a tutti i livelli – dall’infanzia all’Università.

–       L’educazione alla pace, alla nonviolenza e al rispetto dei diritti umani abbia uno spazio nella programmazione dei canali radio-televisivi pubblici, prevedendo di inserire nel Consiglio di Amministrazione RAI e la Commissione Parlamentare di Vigilanza della RAI una figura competente per la promozione dell’Educazione alla pace.

Le proposte della RiPD sono già state pervenute ai tavoli istituzionali in cui la rete è presente: il Forum Nazionale col Ministero dello Sviluppo Sostenibile, il Consiglio Nazionale dei Giovani, la Consulta Nazionale degli Enti del Servizio Civile, il Comitato Interministeriale dei Diritti Umani, oltre che il tavolo di valutazione presieduto da Mario Draghi.

 

Foto di Ikessurplus