istock_000027717452_double-web

Il dono raro dell’umiltà

Non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nome da’ gloria, per la tua bontà e per la tua fedeltà!
Salmo 115, 1 

Paolo scrive: «Per la grazia che mi è stata concessa, dico quindi a ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura di fede che Dio ha assegnata a ciascuno
Romani 12, 3

Non è difficile capire, anche ad una prima lettura, che l’apostolo Paolo auspica uno svolgersi pacifico, armonioso e produttivo della vita comunitaria: è l’ideale per ogni comunità umana, dovrebbe essere la naturale condizione di una comunità cristiana. Spesso capita, però, che qualcosa impedisca di realizzare quell’ideale di vita comune, ed è quasi sempre conseguenza di un complesso di superiorità che innesca l’ambizione personale e talora la competizione all’interno della comunità dei credenti. La soluzione è una sobria e realistica considerazione di se stessi e di un costante esercizio di umiltà, ovviamente da parte di tutti. 

L’umiltà di cui Paolo parla è, per il credente, non tanto una virtù, quanto la risposta alla consapevolezza di dipendere da Dio in tutto e per tutto, un atteggiamento che dovrebbe essere una seconda natura. È evidente, del resto, che, se la si considerasse una virtù, non mancherebbe chi anche in umiltà e modestia (naturalmente tutt’altro che sincere) vorrebbe essere il primo. Per Paolo non è l’interesse comune a dover convincere alla concordia e al reciproco riconoscimento, ma il fatto che tutti i doni e le loro “funzioni” vengono dallo Spirito di Dio, che, creando la varietà e la molteplicità dei carismi, ne fonda l’unità.

Questa consapevolezza deve dissuadere il credente dal perdersi in valutazioni per cui, all’interno della chiesa, ci sarebbero persone o funzioni degne di maggior considerazione ed altre utili, sì, ma di minor valore. È sulla serietà dell’impegno e sul modo di svolgere il proprio compito che si giocano eventuali valutazioni di merito: ben sappiamo, per esperienza, che tutti i talenti sono indispensabili alla vita della comunità e che ogni compito, anche quello che sembrerebbe meno spirituale, può essere invece, se svolto per amore dei fratelli e delle sorelle e dell’evangelo, espressione di una profonda spiritualità. 

Come non sottoscrivere pienamente che pace, armonia e “produttività”, naturalmente in termini di edificazione spirituale, siano caratteristiche essenziali di una comunità cristiana?

Ci dia, dunque, il Signore il dono raro dell’autentica umiltà e il senso profondo della dipendenza da Lui, che solo ci può liberare da ogni falso orgoglio, restituendoci alla nostra dignità di creature e, in Cristo e per lo Spirito Santo, di figli e figlie amate dal Padre celeste.