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L’Europa che verrà

Quale sarà l’Europa che lasceremo alle prossime generazioni? E in quali spazi e quali sfide dovranno e potranno muoversi i giovani? “Next generation Eu? – giovani ed Europa, tra sogno di ripresa e rischio di marginalità” è il titolo dell’incontro pubblico del Sinodo valdese, che si è svolto nella serata di lunedì 23 agosto, in presenza presso il Tempio valdese di Torre Pellice (in conformità con le regole sanitarie vigenti) e online, in diretta, sulle pagine fb della Chiesa valdese e di Radio Beckwith, oltre che sul canale YouTube della stessa emittente.

Oltre 200 gli spettatori, tra la platea in rete e quella in presenza, per l’evento, presentato dalla coordinatrice di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Marta Bernardini, e dalla vicedirettrice di Agape centro ecumenico, Valeria Lucenti.

Il sociologo Stefano Allievi ha identificato alcune sfide: quella demografica, quella legata alla mobilità sociale, l’istruzione e infine il lavoro. «In Italia – ha spiegato – il 66% dei giovani fino a 35 anni vive con la propria famiglia, il che significa un drammatico disinvestimento sul futuro. C’è poi un invecchiamento del Paese: si stima che tra 10 anni ci potrebbero essere oltre 6 milioni di anziani non autosufficienti. Ci sono più morti che nati, e più emigranti che immigrati: mai nella storia si era creata una situazione del genere». Per quanto riguarda quella che ha definito «l’immobilità sociale», «i due terzi degli operai sono figli degli operai», mentre in materia di formazione ed educazione, «in Italia abbiamo il doppio degli analfabeti funzionali che in Ue». La precarietà e le condizioni occupazionali si traducono invece per il sociologo dell’Università di Padova in una generazione di «under 35 che hanno un reddito pro capite inferiore del 26% rispetto a quello di chi era giovane un quarto di secolo fa». La situazione attuale è dunque per Allievi quella di un «gerontocomio, nel quale i giovani hanno tutto il diritto di ribellarsi, e di farlo senza gentilezza». Una gerontocrazia dove andrebbero disegnati nuovi «spazi di autogoverno e occorrerebbe un nuovo patto generazionale, che temo passi attraverso il conflitto, l’unico modo per evitare la guerra» tra generazioni, appunto.

foto di Daniele Vola

Generazioni che a volte sono seconde o terze generazioni di migranti, per i quali – almeno in Italia – è cruciale il tema dello ius soli. A portare l’attenzione su questo tema l’eurodeputato del Pd Brando Benifei, che ha ricordato come in realtà «le questioni sulla cittadinanza si risolvono a livello nazionale, non se ne può occupare l’Europa». Il parlamentare europeo ha fatto anche parte negli scorsi mesi di una delegazione in Bosnia, che ha avuto grande visibilità mediatica, anche perchè fu «bloccata» alla frontiera. Una delle tante frontiere e rotte lungo le quali i migranti si muovono. «Ma Orban e gli altri governanti che alzano muri sono dei “facili cattivi” – ha aggiunto Benifei – : tutti i governi europei in realtà non fanno abbastanza su questi temi».

C’è quindi bisogno di tornare alle origini dell’idea fondante l’UE. «Il Manifesto di Ventotene – ha ricordato l’europarlamentare – non dice mai la parola “sogno”, ma disegnò un progetto politico chiaro, quello di un’Europa libera, basata sulla solidarietà, su valori che anche oggi ci possono indicare la via».

Per la giornalista di Internazionale Annalisa Camilli, intervenuta in collegamento video alla serata, «mancano i luoghi della trasmissione di una storia, della visione di un futuro possibile, luoghi e spazi in cui i giovani e non solo possano incontrarsi, spazi in cui quel rapporto tra le generazioni possa vivere. Mancano cioè spazi reali di costruzione di memoria condivisa». Memoria che è stata invece al centro dell’ultimo progetto giornalistico realizzato da Camilli, il podcast Limoni, sulla storia del G8 di Genova del 2001.

«Oggi invece – ha dichiarato – i movimenti si articolano su singole vertenze, c’è una sorta di specializzazione esasperata delle singole battaglie, come se fossero segmentate nelle loro rivendicazioni, mentre nel 2001 c’era un’idea comune nelle lotte. D’altra parte, il problema è il potere: i giovani hanno bisogno di prendere parola, in una situazione in cui il rapporto di forze è sfavorevole. Diamo allora ai giovani il potere, alle donne, alle minoranze che non hanno sufficiente rappresentanza: chi costruisce immaginario ha la responsabilità di farlo», e di farsi da parte, quindi, per fare spazio anche a nuovi modi di raccontare.

Modi altri non solo di narrare ma anche di ragionare, «imparare a ragionare fuori dagli schemi», come ha detto la pastora valdese Daniela Di Carlo nel suo intervento.

«Come chiese abbiamo rotto un sacco di tabù: oggi occorre generare parentele coi migranti, abbiamo bisogno gli uni degli altri: perchè la cura è una delle pratiche più radicali che abbiamo a disposizione». La cura che ogni persona deve e può avere verso l’altro e verso le altre specie, verso il creato.

Anche a proposito dei corridoi umanitari, secondo Di Carlo, «dobbiamo generare qualcosa di diverso, che possa insegnare come la cura e le parentele non devono avere per forza un vincolo di sangue». 

Il presidente designato del Sinodo 2021 Valdo Spini ha ribadito infine che «serve una volontà politica comune europea», mentre la moderatora della Tavola valdese Alessandra Trotta ha concluso il dibattito con alcune considerazioni sull’importanza del rapporto tra le generazioni, che «deve diventare – come i credenti amano dire – un patto, da costruire con reciproca fiducia». E citando Martin Luther King: occorre «prendere decisioni giuste, non convenienti».