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Storie di speranza

Rappresentanti delle chiese che operano nell’iniziativa Simboli di speranza, sottolineano quanto sia fondamentale il ruolo delle comunità religiose in materia di migrazione e quanto le comunità di fede possano fornire approcci locali all’emancipazione economica e al superamento della povertà in aree del mondo svantaggiate. La Federazione luterana mondiale (Flm), da tempo, ha avviato il programma Simboli di speranza (Symbols of Hope); era il 2017 e lo fece con due chiese membro: la Chiesa evangelica etiope Mekane Yesus (Eecmy) e la Chiesa luterana di Cristo in Nigeria (Lccn).

Nel 2020, la Chiesa evangelica luterana in Zimbabwe (Elcz) ha aderito all’iniziativa mondiale il cui obiettivo è consentire alle chiese di rispondere efficacemente alle sfide legate all’immigrazione «irregolare» e la «tratta di esseri umani». L’Etiopia è stata la prima a ospitare il primo scambio congiunto di apprendimento ed esperienze, un incontro che si è tenuto dal 31 agosto al 3 settembre (ne dà notizia oggi il sito della Federazione luterana mondiale), insieme ai partecipanti di Elcz, Lccn, la Flm e alla Commissione per lo sviluppo e i servizi sociali Eecmy.

Un’iniziativa messa in campo per formulare nuovi «simboli della speranza nel paese». I membri del team hanno condiviso molte impressioni e riflessioni grazie anche alle visite ai siti del progetto a Hosaena, nella zona meridionale di Hadiya, dove la chiesa ha sostenuto iniziative dedicate alle donne più vulnerabili – migranti rimpatriate – attraverso progetti di formazione incentrati sulla capacità di sussistenza e alla produzione agricola (come coltivazione di semi, di ortaggi e l’allevamento di capre), oltre a programmi di risparmio di gruppi di mutuo soccorso.

I visitatori hanno inoltre potuto incontrare alcuni pastori reggenti di comunità e funzionari nazionali dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim).

«L’implementazione delle attività di Symbols of Hope ha cambiato la narrazione della chiesa in Etiopia», ha osservato il pastore Emmanuel Subewope Gabriel, coordinatore nazionale di Symbols of Hope Nigeria.

«Prima dell’inizio di questo progetto alcuni membri della chiesa luterana, persino alcuni pastori, non sconsigliavano iniziative personali in tema di migrazioni; la povertà e la mancanza d’informazioni sul rischio legato a partenze insicure, irregolari e il traffico di esseri umani non emergevano nel giusto modo. Oggi, è viva una informazione, una narrazione, corretta e diretta sul tema.  I membri della nostra congregazione, ad esempio, forniscono, oltre alle informazioni necessarie, anche un sostegno economico alle persone che decidono comunque di intraprendere un viaggio fuori dal paese, spesso in cerca di migliori opportunità di lavoro», ha affermato.

I pastori dell’Eecmy hanno portato la questione della migrazione irregolare anche sul loro pulpito: «cerchiamo di far crescere la consapevolezza sui pericoli che si possono correre. Sono molti i pastori che sono stati formati per offrire consulenza e supporto», ha osservato Bongiwe Mavuwa, consulente tematica per Giustizia e pace presso l’ElczL della Lutheran Development Service (Lds) e che gestisce Symbols of Hope in Zimbabwe .

In Nigeria, ad esempio, il progetto Simboli della speranza prevede il sostegno, sussistenza per i rimpatriati e i potenziali migranti, campagne di sensibilizzazione nelle scuole e nelle aziende di trasporto e partnership con organizzazioni governative e non governative competenti.

Ad agosto 2021, invece, in Etiopia gli sforzi di sensibilizzazione sui simboli della speranza hanno raggiunto più di 36.200 potenziali migranti (22.000 donne, 14.200 uomini). I membri dei gruppi di donne di auto-aiuto sono tra 400 rimpatriate (330 donne, 70 maschi) e 100 potenziali migranti (55 donne, 45 maschi) che hanno potuto ricevere una formazione per le piccole imprese sostenibili. Inoltre, oltre 400 leader religiosi, pastori e operatori diaconali (100 donne, 300 donne) sono stati formati per fornire supporto psico-sociale.

Marina Dölker, responsabile del programma Flm per la Diaconia e lo sviluppo, ha ricordato: «Alla fine della nostra conversazione, una delle donne si è alzata e ha iniziato a parlare nella sua lingua locale. Non abbiamo capito, ma dal suo linguaggio del corpo e dalla sua voce abbiamo potuto vedere quanto fosse appassionata, indicando ripetutamente lo staff del progetto della chiesa locale, quindi muovendo le mani verso il suo cuore. Ringraziava la chiesa per il sostegno e la lealtà, dicendo che i simboli della speranza avevano permesso alle donne di riacquistare dignità e stabilire fiducia tra di loro e con il personale del progetto, a loro volta membri della comunità locale.

I gruppi di auto-aiuto sono diventati uno spazio sicuro per le donne, non solo per condividere le loro esperienze traumatiche, ma anche per affrontare insieme le sfide della vita quotidiana», ha concluso Dölker.