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Tutela dell’ambiente, problema comune

A pochi giorni dall’avvio della COP26 sul clima previsto a Glasgow a partire dal 31 ottobre, incontriamo David Coleman, pastore della “Reformed United Church” -Urc- Chiesa Riformata Unita di Scozia.

Prima di tutto, grazie pastore Coleman per questo incontro.

Se ricordo correttamente lei è stato nominato “cappellano Ambientale” (“Environmental Chaplain”) nel settembre del 2018. Cosa significa essere un “Cappellano ambientale”? Qual è il suo specifico lavoro presso le congregazioni?

«Il “Cappellano Ambientale” è una “categoria” speciale di ministero della Chiesa Riformata Unita che lavora a livello ecumenico con le chiese in Scozia. L’obiettivo del Cappellano Ambientale è di supportare e lavorare con le chiese locali che vogliono iniziare un percorso di lavoro ambientale nella loro vita e nel loro ambito di lavoro. In particolare il Cappellano offre alle comunità sostegno (e gli strumenti) sotto l’aspetto spirituale-teologico, ma non solo: svolge infatti un vero e proprio lavoro di insegnamento nelle diverse sedi di formazione dei futuri e attuali ministri di culto. Un aspetto essenziale di questa formazione e supporto è l’aiutare le persone coinvolte a comprendere concretamente cosa significhi il cambiamento climatico e, anche attraverso un lavoro sulle liturgie e gli inni del culto, far sì che vi sia un ricollocamento dell’essere umano all’interno del Creato. Sovente la teologia e l’esegesi hanno promosso una visione fortemente antropocentrica in cui il Creato è messo a disposizione del genere umano; adesso è assolutamente necessario comprendere che noi esseri umani non siamo al di fuori del Creato (e quindi ne possiamo disporre a piacimento), bensì noi siamo parte stessa del creato. Per far questo può essere utile riprendere le teologie e le esegesi post coloniali».

Secondo la sua esperienza nelle congregazioni, i giovani mostrano maggiore attenzione circa le tematiche ambientali? O è un interesse intergenerazionale? Secondo lei perché?

«A dispetto di quanto si potrebbe pensare, l’attenzione e l’interesse verso le tematiche ambientali è intergenerazionale. Anzi, la scarsa presenza (purtroppo) di giovani nelle comunità, fa si che in molte realtà siano i soggetti più anziani ad essere «fortemente interessati» e a mettere in atto strategie green. Un elemento positivo è che ove vi siano giovani, questi vengono messi in primo piano e viene lasciata loro, viene promossa anzi, la “guida” della comunità su e verso le tematiche ambientali. Il fatto che l’interesse verso le tematiche ambientali sia d’interesse intergenerazionale è molto importante e molto positivo per l’intero processo teologico e verso l’assunzione di una maggiore consapevolezza della nostra impronta ambientale (quanto consumiamo, inquiniamo…)».

La COP 26 (31 ottobre-12 novembre) è il vertice internazionale più grande che abbia mai avuto luogo nel Regno Unito e ha come obiettivi l’azzeramento delle emissioni a livello globale entro il 2050 (riducendo già in modo sensibile le emissioni entro il 2030) e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C. In concomitanza alla COP 26 differenti fedi hanno voluto far sentire la loro voce circa il tema del cambiamento climatico organizzando molteplici eventi interreligiosi. Pensa che questo evento sia anche un’occasione per aprire nuovi dialoghi e cooperazioni a lungo termine tra le diverse fedi e, al loro interno, tra le diverse denominazioni circa le tematiche ambientali?

«Assolutamente sì e penso che questo sia già avvenuto, anzi penso che questo “problema comune” abbia reso il dialogo più forte e amichevole di quanto sia stato prima della COP 26. Inoltre le molteplici riunioni online hanno permesso ai diversi leader (e non solo) religiosi di conoscersi meglio e di intensificare i rapporti tra loro tessendo così nuovi legami di amicizia. Questo si è reso particolarmente evidente in ambito ecumenico cristiano. In vista della COP 26, più di 50 leader religiosi hanno firmato la “Glasgow Multi-Faith Declaration” (siglata il 20/09/2021), e uno degli obiettivi che le diverse fedi puntano a raggiungere é di “fare cambiamenti trasformativi nelle nostre vite e nelle vite delle nostre comunità attraverso l’azione individuale e collettiva”».

Le Eco-comunità che lei conosce hanno già fatto delle azioni in questa direzione?

 «Sì, assolutamente; ad esempio alcune comunità hanno preso contato con alcuni negozi alimentari locali per recuperare il cibo avanzato e distribuirlo alle persone bisognose. Sono anche fatte raccolte di vestiti e anch’essi distribuiti tra chi ne avesse bisogno. Alcune comunità si sono anche impegnate nella raccolta dei rifiuti sia in città che sulle spiagge che nel mare. La cosa curiosa è che le persone si sono divertite nel fare queste opere di pulizia, è strano ma è ciò che è successo! In occasione dell’incontro che ha prodotto la “Glasgow Multi-Faith Declaration” il Moderator of the General Assembly of the Church of Scotland, Lord Jim Wallace, ha dichiarato: “Le nostre comunità di fede sono unite nel prendersi cura della vita umana e del mondo naturale. Condividiamo la fede in un futuro pieno di speranza, nonché l’obbligo di essere responsabili nel prendersi cura della nostra casa comune, la Terra”. E ancora: “riconosciamo le opportunità offerte dalla COP26 nell’affrontare l’urgente necessità di agire per limitare gli effetti del cambiamento climatico e l’importanza fondamentale delle decisioni prese in questa conferenza per portare avanti l’accordo raggiunto a Parigi nel 2015”. Ma già nel 2017, proprio in questa città presso l’Università di Edimburgo, ci fu la conferenza “Comunità di fede e impegno ambientale” in collaborazione con l’Ecen (Rete cristiana europea per l’ambiente), e con la Società europea per lo studio della religione e dell’ambiente. Già allora si affermava l’importanza di fare, presso le diverse congregazioni, la certificazione ambientale e intraprendere (o proseguire) un percorso come “eco-comunità” (nel 2017 in Scozia se ne contavano già 400)».

In particolare, quali risultati spera si raggiungano al termine della COP26?

«Le mie aspettative e le mie speranze sono che il processo di conversione ecologica non trovi come unico evento di dibattito questa COP, bensì che i politici comprendano, prendano realmente coscienza della disastrosa realtà ambientale in cui viviamo e che facciano ciò che possono e devono per cambiare la situazione. Non bisogna lasciarsi ingannare dalle diverse operazioni di greenwashing promosse dalle aziende (statali e non) e dalle multinazionali; l’obiettivo da raggiungere è la riorganizzazione dalle fondamenta dei modelli produttivi. Questo però non diminuisce l’importanza delle buone prassi ambientali portate avanti dalle singole comunità e dai singoli individui».