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“Banditi nelle valli valdesi”: uno strumento in più per comprendere la storia

Venerdì 12 novembre, nell’elegante cornice del Circolo dei Lettori di Pinerolo, Luca Perrone ha presentato il suo ultimo libro “Banditi nelle Valli Valdesi. Storie del XVII secolo”. L’autore ha dialogato con Bruna Peyrot, a sua volta autrice di diversi lavori storici sulla storia valdese e, in particolare, della biografia di Giosuè Gianavello, in occasione dei 400 anni dalla nascita di uno dei personaggi più noti della tradizione valdese.

Durante l’incontro Perrone ha introdotto con un racconto dettagliato e coinvolgente la sua opera che si propone di analizzare il fenomeno del banditismo, la cui presenza in Val Pellice è documentata da una straordinaria ricchezza di fonti per tutto il XVII secolo. Una storia ricostruita indagando la composizione delle bande, la loro organizzazione, le forme di resistenza e di conflitto messe in atto, le modalità di approvvigionamento e armamento, i loro obiettivi, la collocazione delle basi operative, le relazioni con le comunità e con i ministri di culto. Abbiamo posto alcune domande all’autore per capire cosa lo ha spinto a intraprendere questi studi, il contesto storico che li ospita e le fonti a cui ha attinto.

Qual è stata la scintilla che l’ha portata a indagare su questo aspetto della storia valdese?

«Sono arrivato in Val Pellice una quindicina di anni fa, non sono valdese e sono appassionato di storia. Affacciandomi per la prima volta alla storia locale uno dei primi personaggi nel quale mi sono imbattuto è stato proprio Gianavello e ho partecipato con grande piacere alle iniziative portate avanti per la celebrazione dei 400 anni dalla sua nascita, nel 2017. Accostandomi alla figura di Gianavello ho avuto l’impressione che, come spesso accade nella creazione di un mito, altri personaggi a lui vicini siano stati oscurati da questo personaggio e ho voluto quindi indagare il contesto in cui lo stesso si trovò ad operare. Rileggendo la ricca documentazione è emerso come il banditismo rappresentasse pienamente quello stesso contesto e come fosse endemico nell’Europa del XVII secolo: in particolare nelle valli valdesi è stato un elemento che ha attraversato tutta la storia di quel periodo determinandone lo sviluppo».

Qual è il contesto in cui operava il banditismo?

«Come ho detto il fenomeno del banditismo è dilagante in Europa nel passaggio tra il XVI e XVII secolo. In particolare il banditismo religionario, oggetto della mia ricerca, si compone di diversi livelli: ci sono i banditi più legati al mondo rurale, tipico delle valli valdesi, di cui lo stesso Gianavello fa parte, essendo stato un medio-piccolo proprietario terriero. Accanto a questi ce ne sono altri che invece rappresentano l’intellighenzia delle comunità valdesi, come capi-famiglia e pastori che guidarono la resistenza nei momenti più critici della storia valdese, come le Pasque piemontesi del 1625. Accanto a questa suddivisione ve n’è un’altra altrettanto significativa: quella tra la dimensione locale e quella internazionale. Il banditismo religioso, infatti, può godere di una fitta rete di contatti con Ginevra, con il mondo ugonotto francese, ma anche con l’Inghilterra di Cromwell e con l’Olanda, che dà a questa storia una dimensione non soltanto locale ma anche europea».

Durante la presentazione ha messo l’accento sulla ricchezza di fonti disponibili per ricostruire la storia del banditismo. A quale tipo di documentazione ha attinto per il suo lavoro?

«Essendo una questione complessa che investe diversi aspetti della storia europea di quell’epoca, c’è una ricchezza e varietà di fonti davvero sorprendente. L’archivio di stato, per esempio, è ricco di testimonianze degli avvenimenti di quegli anni di parte sia valdese che cattolica e sabauda. Altro esempio è il documento conservato nella Biblioteca Reale di Torino intitolato “Le Grand Barbe” che è una vera e propria biografia anti-gianavelliana scritta nel 1666 da un gruppo di dissidenti valdesi. Abbiamo poi le “Conferences”, atto di pace seguita alla guerra dei banditi del 1663, in cui troviamo oltre 70 testimonianze notarili che descrivono minutamente gli avvenimenti e ci danno preziosi indizi sull’organizzazione delle bande. Una documentazione che possiamo quindi tranquillamente paragonare a quella inquisitoria e che mi ha permesso di ricostruire con una certa precisione il mondo del banditismo religionario».