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Il lascito della pandemia sulla violenza di genere

Il 25 novembre è stata la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Come l’anno scorso, quella del 2021 offre l’occasione di osservare da vicino l’impatto che ha avuto su questo fenomeno, e sul suo contrasto, la pandemia da covid-19.

Nel programma Cominciamo Bene di RBE è andata in onda l’intervista a Francesca Brancati, consigliera nazionale D.i.Re (Donne in rete contro la violenza) per il Piemonte, ma anche operatrice e counsellor del centro antiviolenza Me.Dea di Alessandria.

Dal monitoraggio portato avanti dalla rete, emerge che i lockdown prolungati hanno aumentato i casi di violenza domestica, come si temeva sin dai primi giorni di chiusura nel marzo 2020, poiché hanno costretto molte donne a restare 24h su 24 assieme al maltrattante. Il meccanismo è piuttosto perverso, ha spiegato Brancati, poiché la violenza già di per sé è accompagnata dall’isolamento: molto spesso il maltrattante cerca di impedire alla donna di lavorare o avere altre relazioni sociali. In questa situazione, quindi, l’isolamento sanitario si è aggiunto a quello già esistente, oltre a favorire l’insorgere di nuovi casi di violenza o a far riemergere quelli passati. Su questa distinzione il monitoraggio di D.i.Re offre uno scenario inquietante, poiché se sono cresciute, nel complesso, le chiamate ai centri antiviolenza, si è trattato soprattutto di contatti di donne che già in passato avevano avuto a che fare con queste strutture. Pochissime, invece, le nuove segnalazioni. Segno che le richieste d’aiuto non sono partite, oppure non sono riuscite a raggiungere i centri, nonostante il loro lavoro nel provare a raggiungere le donne in questo complesso periodo. 

Tutti i centri, sottolinea infatti Brancati, si sono dotati di postazioni online e colloqui telefonici, mentre aumentavano la capacità di entrare nelle reti territoriali, ad esempio con servizi sociali, forze dell’ordine e insegnanti. Il lavoro dell’associazione è anche quello della prevenzione, è fondamentale per trasformare la cultura patriarcale, misogina e machista che alimenta la violenza di genere e che continua a tramandarsi. Un aspetto che viene spesso sottolineatoda Valeria Valente, Presidente della Commissione d’inchiesta sul Femminicidio: l’Italia sta puntando molto sul perseguimento del colpevoli, ma troppo poco sulle politiche integrate, ovvero quelle che agiscono sulla cultura e sulla società nel suo complesso. Per questo motivo, di recente D.i.Re ha creato un osservatorio sulla vittimizzazione secondaria, per osservare e monitorare cosa succede ad esempio nei tribunali. Luoghi al di fuori del meccanismo di violenza domestica, eppure in qualche modo legati ad essa, nel momento in cui questa violenza non viene riconosciuta, o non adeguatamente compresa. 

Per portare avanti tutto questo servono le risorse, maggiori di quelle stanziate finora. Sono necessari fondi strutturali per permettere una programmazione a lungo termine, sia quella dei centri e delle operatrici, ma anche delle stesse donne che intendono uscire da una situazione di violenza; possono farlo solo sé, di fronte a loro, c’è una prospettiva concreta, una visione del domani. Brancati sottolinea la carenza di queste risorse, inadeguate per tutto il prezioso lavoro svolto, tra servizi di ascolto, lavoro sulla genitorialità, sostegno psicologico, apertura e mantenimento delle case rifugio.

Anche a questo fine è stata lanciata la campagna “Componi la Libertà”: fino al 28 novembre si può donare tramite chiamata o sms al 45591, per raccogliere fondi che saranno interamente usati per dare sostegno alle donne.

Brancati infine chiude con un po’ di speranza quantomeno riguardo alle strutture piemontesi. Il Piemonte, dice, ha messo in piedi delle strategie innovative per affrontare la violenza di genere. Ormai da anni la Regione si confronta direttamente con i centri antiviolenza e con il loro coordinamento regionale, in modo da portare avanti politiche efficienti e non valide soltanto sulla carta.