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Tra pandemia e democrazia

 

Si è fatta ormai infinita la lista degli impatti indiretti della pandemia, così come quella dei sottili punti di vista che si possono assumere sulla situazione dei settori interessati (ovvero, praticamente tutti).

L’aggettivo che più spesso accompagna l’espressione “crisi sanitaria”, è “economica” perché il contraccolpo della malattia in sé e delle misure per contenerla è stato profondissimo e capillare. Ad esempio, si parla ormai da mesi della salita dell’inflazione, attorno alla quale la discussione degli esperti è quanto mai variegata, tra chi giura che sia un fenomeno temporaneo (ma non si accorda su quanto), chi invece teme che possa durare davvero a lungo, e chi sostiene che non sia in ogni caso un fenomeno preoccupante come sembra.

Quel che è certo è che i prezzi di molti beni stanno salendo e qualcuno vede qualche conseguenza inaspettata: l’improvvisa fragilità di alcuni leader populisti. Il New York Times ha dedicato un lungo approfondimento sulla situazione di Brasile, Ungheria e Turchia, tre paesi guidati da leader populisti di destra e accomunati dai buoni risultati delle rispettive economie nel corso della propria presidenza. Questo ha garantito la solidità del loro potere in questi anni, soprattutto per quanto riguarda Orban ed Erdogan, ma la salita dei prezzi dei beni al consumo potrebbe allontanare i loro elettori. Secondo alcune testimonianze, sostenitori fedeli di questi politici stanno già dimostrando di volersi allontanare da chi, a conti fatti, non avrebbe mantenuto le promesse.

Non che l’inflazione sia dovuta alle loro politiche, ma è comunque individuabile una certa dose di responsabilità. In Turchia, ad esempio, le mosse di Erdogan stanno notevolmente peggiorando la situazione, portando ad un crollo del valore della lira turca. In linea col suo stile, sta addossando la colpa a manovre straniere destabilizzanti, ma non sembra che la cittadinanza turca venga particolarmente impressionata da tali interpretazioni.

A prescindere dalla posizione politica, è difficile gioire di un fenomeno del genere: i prezzi renderanno la vita difficile, se non impossibile, a chi già si trova in netta difficoltà, e nessuno garantisce che ad un presidente populista non se ne possa sostituire un altro, magari proprio per la necessità di cambiare drasticamente rotta. Ma la situazione offre uno spunto interessante, mostrando la fragilità della politica populista che invece, in tempi di relativa prosperità, viene raccontata (sia dai sostenitori che dai critici) come inaffondabile.

Se ci allontaniamo dall’economia, ma restiamo sulla politica, spicca un recente rapporto dell’Istituto Internazionale per la Democrazia e l’Assistenza Elettorale (IDEA), che lancia un inquietante avvertimento sullo stato di salute delle democrazie globali. Precisano che le tendenze si erano già notate in precedenza, ma sembra chiaro che in molti paesi la pandemia e la sua gestione siano state sfruttate per limitare una serie di libertà non inerenti alla sicurezza sanitaria, approfittando della situazione di generale difficoltà. Si tratta in particolare di paesi balcanici ed est-europei, che spesso hanno legato il contrasto alla disinformazione medica con le voci dissidenti in generale, portando ad una stretta sugli oppositori.

Non sembra esserci invece un collegamento con il coronavirus nella discussione in corso nel Regno Unito riguardo ad una possibile revisione della legge sui diritti umani. I conservatori, al governo, spingono per lasciare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma sembra improbabile che accada; potrebbero però emergere modifiche, già molto criticate, al modo in cui viene seguita dal paese. Il quale peraltro sta già affrontando un’altra riforma controversa: quella della polizia, già considerata inaccettabile da molti, ancora di più in seguito ad alcuni emendamenti. Ad esempio, quello che darebbe maggiori poteri per limitare le manifestazioni di gruppi di protesta in tema ambientale, come Extinction Rebellion e Insulate Britain. Quanto tempo è passato da quando, alla COP26, Boris Johnson pregava i vertici degli altri paesi ad impegnarsi di più nella lotta alla crisi climatica?