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Covid in carcere: serve dialogo tra istituzioni penitenziarie e sanitarie

Mentre l’epidemia da Coronavirus comincia a dare i primi segni di indebolimento, continua comunque a rappresentare un problema per determinati luoghi, date le particolari condizioni. Tra questi ci sono sicuramente gli istituti penitenziari, dove le carenze strutturali e la mancanza di un dialogo efficace tra istituzioni carcerarie e comparto sanitario rendono difficile il contenimento dei contagi.

Proprio la settimana scorsa il garante regionale dei diritti dei detenuti della regione Piemonte Bruno Mellano è stato audito dalle commissioni giustizia e sanità del consiglio regionale, e ha esposto le problematiche principali e fornito i numeri del fenomeno: nelle carceri piemontesi, a fronte di una popolazione di oltre 4000 detenute e detenuti, oltre mille risultavano contagiati. Nella maggioranza dei casi, fortunatamente, si trattava di asintomatici, mentre si è registrato un decesso nell’istituto di Ivrea: si tratta di un uomo ultrasettantenne che aveva rifiutato di sottoporsi a vaccinazione. Si tratta di cifre che comunque evidenziano una volta in più la necessità di una connessione più stretta e collaborativa tra il comparto penitenziario e quello sanitario, in capo alla regione.

 «Abbiamo sempre ricordato come le carceri rappresentino un luogo chiuso ma non per questo sicuro – spiega Mellano – Qui le dinamiche della vita di comunità unite a un endemico sovraffollamento portano inevitabilmente allo scoppio di focolai. Durante le audizioni nelle due commissioni interessate, abbiamo ancora una volta sottolineato come la risposta al problema risieda nel rapporto tra le amministrazioni carceraria e sanitaria, che devono arrivare a fornire un servizio di assistenza, presa in carico e cura della persona». 

La pandemia non ha fatto che evidenziare drammaticamente i problemi delle carceri che vedono nell’aspetto sanitario uno dei fattori più critici, dato dalle carenze strutturali e infrastrutturali che impediscono una gestione efficace della salute dei detenuti, per la quale sarebbe necessario, tra le altre cose, l’impiego di tecnologie oggi disponibili ma ancora assenti nella realtà degli istituti penitenziari. 
«La pandemia ha fatto fare grandi passi in avanti, pur tra incertezze e difficoltà, a tutti i settori nel campo della sanità – sottolinea Mellano – Le carceri sono state escluse da questo progresso anche a causa delle difficoltà strutturali come le reti telematiche. A oggi, negli istituti penitenziari, non abbiamo una cartella clinica informatizzata, non abbiamo un vero servizio di radiologia a domicilio,  nè una telemedicina che permetterebbe, soprattutto in un luogo come il carcere, di avere un servizio diverso dalla semplice attesa di poter spostare in ospedale o in struttura dedicata i detenuti  per fare visite specialistiche che, date le tecnologie esistenti, sarebbe possibile fare a domicilio».