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Oltre il grande silenzio

Un momento in qualche modo storico quello che si è vissuto ieri mattina, quando un gruppo di associazioni cattoliche e laiche ha presentato alla stampa la nascita di un coordinamento che si prefigge di denunciare gli abusi nella Chiesa cattolica in Italia e richiedere una commissione d’inchiesta indipendente sul tema, sul modello di quanto messo in atto in questi anni in vari Paesi (dagli Stati Uniti del caso Spotlight all’Irlanda, dall’Australia alla Francia, che per ultima ha sollevato il velo su uno sconcertante contesto di violenze istituzionalizzate).

Sono state proprio le drammatiche parole di alcune delle vittime a rendere ancora più chiaro, se mai ve ne fosse bisogno, l’urgenza di una giustizia reale, capace di garantire le corrette pene ai rei, e capace di assicurare assistenza agli abusati. Invece l’Italia da questi punti di vista è terribilmente al palo: «la Chiesa cattolica in Italia non è pronta ad affrontare il problema, non è in grado di coglierne la drammaticità sistemica che affonda le radici nella mala interpretazione di un clero che si percepisce ed è spesso percepito come sacralizzato, gerarchico, che si considera al di sopra e al di là delle norme terrene» ha detto ad esempio Cristina Balestrini, mamma di una vittima. Mentre Erik Zattoni, figlio di un prete che ha abusato di sua madre, che all’epoca aveva appena 14 anni, ha ricordato quanti anni siano trascorsi prima di vedere almeno riconosciuta la paternità, a prezzo di dolori e umiliazioni indicibili.

Fitta la presenza di giornalisti internazionali (New York Times, Washington Post, El Paìs, La Croix per citarne solo alcuni), e nazionali: la necessità di “fare breccia” su media italiani risulta proprio una delle sfide da vincere. Spesso più realiste del re, per ossequio o per una malintesa idea di rapporti di potere, si trovano a relegare simili drammatici episodi per lo più, quando va bene, nel settore della cronaca, mentre è stato a più voci sottolineato come sia necessaria un’analisi completa del fenomeno, che deve per forza investire il sistema chiesa come istituzione.

Il Coordinamento, come ha raccontato Ludovica Eugenio, responsabile del settimanale Adista, vuole essere dunque uno strumento «di pressione e di espressione della volontà di contribuire ad abbattere il muro di omertà che ha protetto finora i responsabili diretti e indiretti degli abusi e ha favorito l’invisibilità delle vittime», voluto da gruppi di donne impegnate a vario titolo nella Chiesa cattolica e fuori di essa, «con l’unica priorità di dare voce alle vittime e di chiedere strumenti in grado di garantire che nessuna persona debba mai più attraversare questo abisso». 

Il Coordinamento è composto da Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, Donne per la Chiesa, Noi siamo Chiesa, Adista, Rete L’Abuso, Comitato vittime e famiglie, Voices of Faith, Comité de la Jupe, Left. Proprio Rete L’Abuso, grazie al grande impegno del suo coordinatore Francesco Zanardi, da anni sta costruendo un fondamentale database in cui vengono raccolti tutti i dati che faticosamente emergono dall’ombra dell’oblio, della vergogna, della reticenza. «Lavoro lungo e difficile, che non sarebbe spettato a noi, costato al sottoscritto decine di querele ma di fronte al vuoto purtroppo ci siamo dovuti assumere l’impegno, per poter tutelare altri» ha raccontato Zanardi. Recenti casi di abusi dimostrano come i recenti sforzi del papa (con il motu proprio “Vos estis lux mundi”) si siano rivelati inutili: «i vescovi non obbediscono alle leggi ma non vengono puniti. Leggi deboli hanno favorito il trasferimento in Italia dei pedofili. Una commissione della chiesa anche se perfetta oggi non è più credibile, ne serve una indipendente che assicuri imparzialità. L’imputato non può fare anche da giudice». Ecco, perché il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale italiana, nei giorni scorsi ha per l’appunto teso in qualche modo una mano aprendo ad una commissione, però interna alla chiesa, per evitare «giustizialismi». Una proposta inaccettabile secondo le organizzazioni coinvolte perché mancherebbero i criteri di terzietà e di capacità oggettiva di guardare al proprio interno.

«In Italia – ha spiegato ancora Zanardi – la situazione è complessa in confronto ad altri Paesi; El Pais ha raccolto 250 casi in 7 decenni, la magistratura ha aperto un’indagine autonoma. In Italia il database della Rete l’Abuso dimostra 360 casi in 15 anni. Serve un intervento dello Stato. Il Rapporto Ciase in Francia parla di 216.000 vittime e 3.000 preti coinvolti in 70 anni; in Francia i preti sono 22.000, in Italia 52.000; se la percentuale media del mondo è di 7-8% di preti pedofili, in Italia allora si stima che il numero possa arrivare addirittura a sfiorare il milione di casi. Serve adeguare le leggi; sono state avanzate istanze allo Stato e all’ONU, ma il numero di indagini e azioni penali della magistratura è basso: se la vittima è prescritta non scatta nessuna indagine e viene a mancare la prevenzione. Serve poi estendere a tutti il certificato anti-pedofilia, applicandolo a tutto l’indotto del volontariato che svolge attività con minori; la prescrizione non è adeguata alla maturazione del trauma da parte della vittima; si chiede al legislatore di dare la possibilità di denunciare a tutti cittadini, dal parroco al catechista a chiunque abbia dei sospetti. Sarebbe già una svolta».

La Chiesa cattolica italiana, ribadiscono a gran voce tutti gli intervenuti, non ha la capacità, le competenze e spesso anche la volontà di guardare realmente al proprio interno, di svolgere una vera analisi strutturale del fenomeno. «Non è stata intrapresa finora nessuna iniziativa di indagine e ricerca indipendente che potesse fornire dati oggettivi, primo passo verso una prassi di giustizia cui hanno diritto in primo luogo le vittime e le loro famiglie, ma anche i membri della comunità cristiana, i cittadini e le cittadine», ha commentato ancora Ludovica Eugenio, mentre per Paola Lazzarini, presidente di Donne per la Chiesa, «la Chiesa cattolica è una chiesa gerarchica, nella quale è molto chiara la catena di comando, eppure quando si parla di abusi le responsabilità personali diventano fumose; questo non dovrebbe più accadere e non per una qualche foga giustizialista, ma per una corretta presa in carico delle conseguenze delle proprie azioni alle quali tutte e tutti siamo chiamati. Come battezzate e battezzati, credenti, madri, padri, educatori, professionisti, cittadine e cittadini abbiamo la necessità di vedere la Chiesa italiana compattamente orientata a un’operazione senza ombre e senza sconti».

La conferenza stampa – che ha visto anche la partecipazione di Anne Soupa, presidente del Comité de la Jupe a Parigi, organismo che si batte per i diritti nella Chiesa, e Marilde Iannotti di Voices of Faith, associazione attiva sul piano dei diritti delle donne nella Chiesa e sugli abusi delle religiose – si è conclusa con un ultimo intervento di Marzia Benazzi dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne: «Siamo partite con la nostra sensibilità di donne, occupandoci già degli abusi contro le religiose, nella convinzione che tutti gli aspetti degli abusi nella Chiesa siano originati da una condizione endemica fondante: dalla visione sessista e patriarcale dominante. Il muro del silenzio sarà duro da abbattere. Questo coordinamento riunisce una pluralità di richieste che sono dovute alle esperienze: c’è chi crede ancora che ci possa essere una trasformazione nella Chiesa, c’è chi, in una visione di vita vissuta e di sofferenze, ma siamo accomunati dalla determinazione a far sì che nulla resti intentato, perché non è una questione di credenti non credenti ma una questione di giustizia: non possiamo più accettare che tutto questo sia obnubilato o negato. Per far questo abbiamo bisogno di alleati nei giornalisti e giornaliste a cui chiediamo di sostenerci in questa azione perché l’Italia è sorda per un protervo ossequio alla cultura clericale, e non ha mai visto la nascita di una vera laicità dello Stato. Tenete alta l’attenzione, perché la laicità si esprime nella giustizia».