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A 30 anni da Tangentopoli

Le chiese valdesi hanno ricordato pochi giorni fa il 17 febbraio 1848, data dei diritti civili concessi da re Carlo Alberto. C’è un altro 17 febbraio, quello del 1992: l’arresto a Milano di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio ed esponente del Partito socialista, scatenò un effetto domino che nessuno avrebbe pensato. Un caso isolato, sembrava, che in quei giorni non destò grandi attenzioni a livello nazionale, ma che fu l’inizio di un periodo senza precedenti per la giustizia, la politica e l’imprenditoria italiana. Le inchieste che seguirono, note come poi con il nome di “Mani Pulite” o “Tangentopoli”, indagarono sul sistema di corruzione e di concussione che coinvolgeva quasi tutti i partiti politici e una grande fetta dell’imprenditoria. Il procuratore capo Francesco Saverio Borrelli decise di creare un pool, un gruppo di magistrati incaricati di seguire le varie inchieste e condividerne le informazioni. Al sostituto Antonio Di Pietro furono aggiunti Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo, allora già noto per aver indagato sulla loggia “P2” di Licio Gelli e sull’omicidio di Giorgio AmbrosoliRiforma lo ha raggiunto per raccogliere alcuni suoi ricordi.

– A distanza di trent’anni che cosa può dirci di quel periodo dirompente e tragico allo stesso tempo? 

«“Mani pulite” è stata una dimostrazione “scientifica” del fatto che allora era in atto un fenomeno diffuso, esteso, capillare e articolato di trasgressione. La corruzione era collegata al finanziamento illecito ai partiti politici ed era diventata un sistema. Scoprimmo il sistema facendo il nostro lavoro di investigatori. Quell’esperienza fu un’occasione perduta, espressione che non amo, ma che ben delinea ciò che a mio avviso si sarebbe potuto fare e che invece non fu fatto. Ossia trovare un’alternativa al processo penale, che al di là delle scoperte non portò quasi a nulla. Un’occasione perduta sotto due profili: una soluzione “politica”, se fosse stata accolta l’idea di evitare il processo e la prigione a chi avesse ricostruito i fatti, avesse restituito ciò di cui si era appropriato, si fosse allontanato per qualche tempo dalla vita pubblica si sarebbe scoperto tutto, o gran parte, dei reati commessi e si sarebbe potuto ricominciare in altro modo; se si fosse capito che per cambiare passo sarebbero stati necessari interventi drastici in campo educativo e culturale e si fosse investito in tal senso, oggi vivremmo in una società diversa».

– Il tentativo messo in atto per ripristinare la legalità non è stato in grado di imprimere forza ad atteggiamenti ancora presenti nei gangli della nostra società. È così?

«Dopo l’esperienza di Mani pulite, noi del pool siamo stati accusati di tante cose e tra le tante anche “di aver usato la custodia cautelare come mezzo per far parlare gli indagati; di aver privilegiato alcuni partiti politici, in particolare l’ex partito comunista; di aver spinto le persone indagate al suicidio; di aver messo in carcere tante persone per realizzare un colpo di Stato”. Oggi l’accusa più frequente è quella negazionista tout-court: la corruzione allora non c’era. Credo necessario, anche a distanza di tanto tempo, contestualizzare il tutto e riportarci alla realtà. Andiamo con ordine: le prove arrivavano certo anche dalle dichiarazioni degli indagati (nei cui confronti avevamo chiesto al giudice la custodia in carcere per evitare il rischio dell’inquinamento probatorio e della reiterazione nel reato, art. 274 Codice di procedura penale, di fatto molto frequenti), ma anche da tanta documentazione acquisita sia in Italia (per esempio una carta che sintetizzava con pignoleria la distribuzione degli appalti e delle percentuali per ciascuna impresa riferite a ogni ospedale della regione Lombardia; una agenda che riportava le tangenti pagate da un’impresa giorno per giorno), sia all’estero, attraverso oltre 600 rogatorie internazionali riguardanti documentazione bancaria e societaria, rivolte a una trentina di Paesi, soprattutto Svizzera (442). Ogni volta che arrivavano risposte, si moltiplicava la scoperta di nuove corruzioni. Dell’ex Pci abbiamo chiesto e ottenuto l’arresto di varie persone, tra cui colui che distribuiva ai partiti che contavano le tangenti raccolte per la costruzione della metropolitana. Del colpo di stato credo non sia nemmeno il caso di parlare, siamo stati oggetto di ispezioni ministeriali, procedimenti disciplinari e penali e si è sempre constatata la regolarità del nostro operato».

– A tal proposito, lei ha ricordato la tragedia dei suicidi in carcere…

«Esattamente una tragedia. Sei persone si suicidarono durante “Mani pulite”. Una di queste in carcere, Gabriele Cagliari, ex presidente dell’Eni. Il maresciallo della Guardia di finanza Landi, ai domiciliari e altri quattro in libertà. Per noi fu un dramma, ma era praticamente impossibile poter prevedere e prevenire, come lo sarebbe oggi. In altre situazioni riuscimmo a scongiurare il peggio, ma non fu sempre così. Credo dovrebbero intervenire radicali cambiamenti di sistema, perché anche oggi il dramma del suicidio accompagna indagini e processi: dall’inizio dell’anno si sono suicidate in carcere dodici persone».

– Non c’è soluzione per porre fine a questo rischio durante le indagini, dunque?

«A mio parere sì. Semplice da dire, meno da attuare: abolire il carcere. Limitare misure restrittive alle sole persone pericolose, per il solo tempo in cui lo siano, garantendo loro la tutela di tutti i diritti che non confliggano con la sicurezza della collettività. E tutelare la dignità delle persone, anche se hanno commesso reati, cosa che spesso non succede. Anche oggi capita che si sbatta il mostro in prima pagina». 

– La corruzione ormai è un cancro conclamato. Dalla storia non s’impara mai nulla?  

«Ribadisco: si sarebbe dovuto da allora investire su educazione e cultura, superando la centralità del processo penale. La democrazia richiede capacità di esercitare la propria libertà, capacità di scegliere, che non si acquisisce attraverso la minaccia di una pena (che chiama obbedienza). Cerco di metterci il mio granellino di sabbia dialogando con tanti giovani sulla loro relazione con le regole; cerco di dare una mano in iniziative sociali, riabilitative, culturali di tutela concreta della persona, come salvare le persone che annegano nel Mediterraneo con ResQ e la sua nave».