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Niente di nuovo nel metaverso

“Metaverso”, una parola con cui, volenti o nolenti, avremo a che fare negli anni a venire. La sua recente ascesa all’attenzione dei più è dovuta, probabilmente, al fondamentale giro di boa del colosso Facebook che ha rinominato proprio in “Meta” la sua azienda (non il social), cominciando di fatto la migrazione verso un modo completamente nuovo di fruire lo spazio digitale (cyberspazio) da parte dei suoi utenti. Ma il gigante creato da Zuckerberg non è il solo che punta in quella direzione: anche aziende del calibro di Microsoft stanno investendo ingenti risorse in un settore che promette lauti ritorni in termini di ricavi.

Metavèrso è un termine coniato da Neal Stephenson nel romanzo cyberpunk Snow crash (1992, in italiano tradotto prima da Shake e poi da Rizzoli) per indicare uno spazio tridimensionale all’interno del quale persone fisiche possono muoversi, condividere e interagire attraverso avatar (definizione Treccani). La promessa, insomma, è quella di proiettarci in un universo totalmente digitale, costruito e reso “reale” (e sempre più realistico, con lo sviluppo tecnologico) tramite una versione digitale di noi stessi (l’avatar), ovvero una reinterpretazione virtuale e personalizzabile della nostra persona, sublimazione dei nostri desiderata. Del resto la letteratura fantascientifica ha da sempre coniato neologismi che spesso sottendono profondi significati ontologici e il concetto di metàverso non fa eccezione.

Tutt’altro che nuovo, questo concetto da decenni attraversa la letteratura di fantascienza: basti pensare al romanzo considerato il manifesto del genere cyberpunk (genere in cui il cyberspazio, nei suoi mondi virtuali, ha un ruolo fondamentale) Neuromante di William Gibson (1984) ma anche la produzione cinematografica, da Tron al recentissimo e divertente Free Guy – Eroe per gioco, per fare solo alcuni esempi significativi.

Che non sia una novità ce lo racconta anche l’esperienza di Second life, una piattaforma nata nel 2003, ma tutt’ora attiva, che ospita un universo virtuale in cui il nostro avatar può muoversi, interagire con altri avatar, acquistare beni, terreni, case nella moneta digitale (ma che può essere convertita in moneta reale) il Linden Dollar, ma anche partecipare a eventi e addirittura lezioni universitarie (tenute da docenti reali). Tra Second life e i metaversi che stanno costruendo e quelli che ci aspettano, ci sono vent’anni di sviluppo tecnologico e una profonda rivoluzione nel nostro modo di concepire la rete, dovuta ai social. Una rivoluzione che detta ormai le regole nella costruzione di spazi digitali da popolare di utenti.

Un’altra profonda differenza è il modo di accedere: da anni sono in commercio e si perfezionano visori per la realtà virtuale, ovvero apparecchi che escludono la vista dal mondo reale, per presentarti in 3D il cyberspazio in cui muoversi e interagire. Un’esperienza profondamente immersiva che coinvolge i sensi della vista e dell’udito, ma che potrà essere sviluppata anche per percepire il tatto e l’olfatto nel mondo virtuale. 

Ma se ormai abbiamo i mezzi per entrare in questi metavérsi, quello che ci manca, forse, è la motivazione: deve essere divertente. Infatti l’architettura è quella del videogioco, il gaming, settore in cui la realtà virtuale la fa da padrona da molti anni e che si presta perfettamente a motivare il popolamento di questi spazi da parte degli utenti. Molti di noi, penso, hanno almeno sentito nominare alcuni giochi ambientati in un metavérso, come Minecraft Fortnite, per non parlare del discusso e discutibile Grand Theft Auto (Gta), in cui il nostro avatar è un criminale in azione in una città popolata da altri avatar e personaggi totalmente creati dal computer. Il Meta di Zuckerberg vuole andare oltre, trascendendo anche da questa visione videoludica spesso limitata, e implementare questo metavérso nella vita quotidiana, restituendole un appeal universale.

Ma l’aspetto più importante penso sia l’innervatura, la struttura portante dei metavérsi, la loro linfa, ovvero il denaro. Anch’esso dematerializzato, non perde di certo la sua natura, anzi guadagna in fluidità, velocità e, soprattutto, si emancipa dai circuiti storici realizzati dalle banche. Nei metavérsi si compra e si vende: esiste un mercato che sposta molti milioni di dollari. Non parliamo di pagamenti elettronici, ma di “bit” puri e semplici che si aggregano nelle cosiddette criptovalute (la più famosa è il bitcoin, ma non è l’unica), ormai un bene su cui da tempo si investe e si guadagna, valute utilizzabili ormai anche nel mondo fisico.

Penso che tutto ciò possa esaltare qualcuno e turbare i più, ma non bisogna farsi ingannare: la rivoluzione è apparente e il coinvolgimento dei sensi non cambia quello che è il senso profondo di un cambiamento iniziato molto tempo fa e di cui siamo testimoni ogni giorno. L’immersione totalizzante, per tempo ed energia, nei social (qualsiasi essi siano) è trasversale e testimoniata da tutte le generazioni, non solo gli adolescenti. Non c’è stato bisogno di raffinati mezzi tecnologici che sequestrano i nostri sensi: ci siamo dentro completamente, con occhi, mente e cuore. Cambiano le relazioni, non sempre in peggio, cambia il modo di informarsi, ma soprattutto, cambia la percezione della realtà che troppo spesso ha i confini di una piattaforma digitale disegnata da altri, in cui i nostri avatar si muovono cercando di orientarsi attraverso un labirinto fatto di specchi (deformanti) e specchietti (per le allodole). 

Per questo siamo chiamati a comprendere meglio questi nuovi luoghi, che continuiamo a definire erroneamente non-luoghi, per capire ciò che li anima e che cosa dobbiamo aspettarci, consapevoli del fatto che dobbiamo imparare prima di tutto a disegnare noi stessi i confini entro i quali muoverci, il tempo e le energie da investire, senza farceli imporre da un algoritmo basato sulle criptovalute.