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Guerra in Ucraina: il modello di accoglienza della Fcei

Dal momento dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio scorso è apparso chiaramente che a pagare il prezzo più alto per il conflitto sarebbe stata la popolazione civile. Come accade in ogni guerra, bombardamenti, mancanza di approvvigionamenti, distruzione delle abitazioni si sono abbattuti sui comuni cittadini. La più diretta conseguenza delle azioni bellicose è stata quindi lo spostamento delle persone alla ricerca di un luogo sicuro dove poter condurre le loro vite, sia all’interno dei confini dell’Ucraina, sia muovendosi verso gli altri Paesi europei. Secondo le stime in costante aggiornamento dell’Unhcr (Alto Commissariato Onu per i Rifugiati) i profughi hanno superato i tre milioni nelle prime tre settimane di guerra, e questo numero sembra essere destinato a salire ancora.

Diventa evidente come sia necessario organizzare da un lato la consegna di aiuti umanitari sul territorio ucraino, dall’altro un’accoglienza il più possibile efficace nei Paesi europei verso cui sono diretti i rifugiati. Tra gli enti che stanno tentando di istituire meccanismi di accoglienza c’è anche la Fcei – Federazione delle chiese evangeliche in Italia, che «in questi giorni è in Polonia con un gruppo di operatori delle chiese evangeliche e della Diaconia valdese. L’obiettivo è incontrare organizzazioni locali e chiese protestanti per valutare quale sia la situazione in Polonia, che essendo il Paese più vicino all’Ucraina in questo momento sta accogliendo più profughi, e immaginare appena sarà possibile anche un viaggio di circa 50 persone che possano raggiungere l’Italia», spiega Marta Bernardini, coordinatrice del progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia “Mediterranean Hope”.

Questo progetto di accoglienza si può inserire nell’esperienza maturata negli ultimi anni dalla Fcei, ad esempio con i corridoi umanitari, anche se «questi di cui stiamo parlando, che partono dalla Polonia, non sono prettamente corridoi umanitari, ma più che altro evacuazioni – spiega Bernardini – Ciò che interessa è che quella che stiamo organizzando è un’accoglienza solidale, dal basso». Le caratteristiche stesse della crisi in atto potrebbero imporre un nuovo modo di intendere l’accoglienza, che dovrebbe essere portata avanti «non solo da associazioni, non solo da organizzazioni più strutturate, ma anche dalle comunità, le chiese, i singoli e le singole possono mettere a disposizione il loro tempo, le loro abitazioni e le loro abilità per sostenere chi sta arrivando da una guerra così vicino a noi». 

Si tratterebbe quindi di un modello di accoglienza diffusa da modulare di caso in caso a seconda delle necessità delle singole persone, e per far questo «chiunque volesse può contattare la Federazione e insieme possiamo immaginare dei percorsi di cooperazione», continua Bernardini.

La speranza è quindi di poter procedere con rapidità nell’accoglienza di chi fugge dai conflitti a partire dall’azione sul campo: è infatti parte integrante dell’identità del lavoro della Fcei incontrare le persone prima del loro arrivo in modo da poterle assegnare al migliore contesto per l’accoglienza sulla base delle loro caratteristiche ed esigenze. «Non ci basiamo solo su modelli emergenziali, ma cerchiamo di riprodurre l’esperienza dei corridoi». Sicuramente questo richiederà del tempo, «anche perché le famiglie che sono in questo momento bloccate in Polonia sono quelle più in difficoltà, quindi dovremo valutare le particolari vulnerabilità e necessità. Il nostro obiettivo resta tornare e portare in Italia chi ne ha bisogno il prima possibile», conclude Marta Bernardini.

Nella foto un ostello per donne e bambini fuggiti dall’ Ucraina, a Cracovia, organizzato dalla Chiesa luterana di Cracovia.