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La speranza oltre le tenebre

Si svolge da venerdì 22 a lunedì 25 aprile a Pomezia (Roma), con due riferimenti biblici «Non temere piccolo gregge perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno» (Luca 12, 32) e «Camminiamo per fede e non per visione» (II Corinzi 5, 7), la 46a Assemblea generale dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi). Con Giovanni Arcidiacono, che si avvia alla conclusione dei un triplice mandato alla presidenza del Comitato esecutivo, facciamo un bilancio di questo complesso periodo che va dal 2016 a oggi.

– L’Assemblea, dopo essere stata rinviata nel 2020 per la pandemia, arriva ora nel pieno di una guerra che credevamo di non vedere più in Europa: quanta forza ci vuole per annunciare speranza al mondo di oggi?

«Ci vuole una forza aggiuntiva. La sola forza di ciascuno o di ciascuna è esposta al rischio dell’angoscia e della paura, specie per gli anziani e per una generazione di giovani e adolescenti fortemente provata dai due anni appena trascorsi e che vedono con la guerra il loro futuro definitamente rubato. Occorre la forza che viene dal Signore Gesù che, prima di vivere la Passione, disse ai suoi: “Nel mondo avrete tribolazioni; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo” (Giovanni 16, 33). Ecco l’incoraggiamento e la forza di cui abbiamo bisogno: il dono del Signore alla chiesa e al mondo, la forza della speranza viva, la luce dell’Evangelo che splende nelle tenebre, nonostante tutto, che ricrea le speranze morte che la pandemia e soprattutto la guerra producono e rafforzano». 

– L’Assemblea dovrà esaminare diverse questioni che riguardano l’assetto amministrativo e la “macchina-chiesa”: possiamo accennare alle principali?

«Ne segnalo tre. La prima riguarda l’effetto della pandemia sulla vita comune delle chiese che le ha viste fortemente soffrire a seguito delle chiusure forzate dei luoghi di culto e poi nel mantenere l’assidua frequenza ai culti. Siamo preoccupati per la parte più fragile delle comunità che ha avuto difficoltà con la modalità in remoto e che nel frattempo si è disaffezionata alla chiesa, soprattutto nelle chiese più piccole. La seconda attiene all’andamento del piano di cooperazione fra le chiese dell’Unione, che ha registrato nel biennio della pandemia purtroppo un significativo decremento che impatta direttamente con le necessità e i bisogni dell’Unione soprattutto in termini di sostenibilità delle missione interna nelle sue diverse declinazioni, a partire dal non più procrastinabile potenziamento dei Dipartimenti (Teologia, Evangelizzazione e Chiese internazionali). La terza questione riguarda l’attribuzione alle Associazioni regionali di una maggiore dignità istituzionale, al fine di renderle, nell’ambito della cooperazione fra le chiese dell’Ucebi, uno strumento territoriale di riferimento per le chiese locali per uno più stretto ed efficace legame istituzionale al fine di esprimere sul piano organizzativo l’unità della fede, attuare una linea comune di testimonianza e di servizio, coltivare la speranza del compimento del regno di Dio». 

– In vista di questo appuntamento il Comitato esecutivo ha proposto alle chiese un documento di studio, «Il compito dell’Ucebi», che è stato dibattuto in sede locale e in convegni per macroaree. In esso si affronta il tema della pluralità, che già esiste in seno all’Unione tra le chiese, nelle chiese, tra i fratelli e le sorelle di chiesa, tra i ministri e le ministre. Come e perché va vissuta oggi la sfida della pluralità?

«La pluralità nelle chiese andrebbe vissuta come comunità plurali partecipative in cui le persone, con le loro differenze geografiche, etniche, di genere, culturali, teologiche ed etiche, possano confrontarsi rispetto alle loro aspettative e prospettive e condividere, nel comune cammino di fede, la ricerca del regno di Dio anche su temi che contraddistinguono il battismo, come i diritti umani, i diritti civili, i diritti delle comunità. Tutti diritti attraversati da concezioni etiche e teologiche differenti per formazione culturale e storica. La sfida della pluralità va vissuta oggi più che mai perché a un mondo regolato dal regime della separazione delle Nazioni, dei popoli, delle etnie, delle culture, delle fedi, finalizzato al conseguimento degli interessi dei potenti, urge contrapporre un mondo solidale e ugualitario, orientato al conseguimento del bene comune dell’umanità e alla salvaguardia del creato. I frutti di questo regime di separazione fra i popoli oggi si manifestano nella guerra d’aggressione all’Ucraina. Per quanto attiene alla pluralità dei ministeri, accanto al ministero pastorale, oggi vi sono all’interno dell’Unione altri ministeri. In questo caso la sfida della pluralità va intrapresa promuovendo la collaborazione di pastori e pastore, di ministri e ministre, favorendo il lavoro di gruppo tra persone che hanno competenze diverse e che sappiano lavorare insieme. Ciò comporta una riforma del modello pastorale, dei ministri e delle ministre dell’Ucebi». 

– Quest’anno vedrà convocarsi una sessione congiunta dell’Assemblea con il Sinodo valdese e metodista: quali sono le aspettative?

«Dopo circa 15 anni dall’ultima Assemblea/Sinodo, è stato giusto e bello aver approfondito,  attraverso i quattro webinar svolti in preparazione della prossima AS, i principali temi che coinvolgono il reciproco riconoscimento tra battisti, metodisti e valdesi. Qui segnalo anzitutto la necessità di migliorare, potenziandola, la collaborazione territoriale, avviando un processo di maggiore consapevolezza dei rispettivi ordinamenti di riferimento, capace di rendere la collaborazione sistemica e basata su specifici progetti per la comune testimonianza evangelica sul territorio, e non, come spesso è avvenuto, una collaborazione territoriale semplicemente occasionale e non sufficientemente motivata da esigenze di crescita della chiesa e di sviluppo della testimonianza sul territorio. Un’altra importante aspettativa riguarda la formazione di ministri e ministre la cui formazione accademica riteniamo debba rafforzare sia lo studio della teologia pratica (in particolare, la relazione d’aiuto, la costituzione di nuove chiese, lo sviluppo e la trasformazione delle comunità, l’evangelizzazione) sia lo studio della musica e dell’innologia».

– Da tempo le chiese in Europa hanno la necessità di fare i conti con una società e cultura sempre meno coinvolte dalla testimonianza cristiana: di quali nuovi strumenti possono dotarsi?

«La pandemia ci ha restituito una modalità di partecipazione ai culti e agli studi biblici, ma anche alle conferenze tematiche strettamente connesse ai temi della fede, che rivoluziona il concetto di chiesa locale, intesa come chiesa geograficamente definita e delimitata dal luogo di residenza dei partecipanti. Abbiamo assistito durante la pandemia a un allargamento virtuale della chiesa locale. In questa modalità si sono raggiunte persone che non avrebbero mai varcato la soglia dei nostri locali di culto. Uno degli strumenti pertanto è rappresentato proprio dalla presenza della chiesa sui social media. A queste nuove modalità di comunicazione tuttavia si devono aggiungere nuove competenze nella formazione dei ministri soprattutto nell’ambito della missione e dell’evangelizzazione. Come si legge nella relazione del Dipartimento di Evangelizzazione: “non mancano segnali di speranza laddove si è disposti a ‘osare di cambiare per fede’, equilibrando gli accenti dalla struttura alla persona, dalla chiesa locale a quella universale, dalla parola all’ascolto, dal sermone all’incontro, dal libro al video, dal pulpito alla tavola o alla webcam, in un percorso policentrico, dove gli spazi della preghiera, della cura d’anime, della testimonianza personale e della condivisione, anche attraverso i nuovi media, rivendicano un ruolo maggiore”». 

– Come ha vissuto, a livello personale, il suo mandato?

«Ho cercato di svolgere il mandato presidenziale con spirito di preghiera, sperimentando nelle diverse e quotidiane difficoltà incontrate l’importanza del sostegno del Comitato esecutivo e della collaborazione del personale degli uffici. Nella solitudine, non sono mancate le ansie per le attese e la vita comune delle chiese, soprattutto quando attraversate da pesanti conflitti o da minacce esterne. Così come non sono mancate le preoccupazioni per la salute dei pastori e delle pastore. Le gioie più grandi sono state quelle derivanti dalle visite alle chiese, nelle quali anche con la complicità conviviale delle agapi, si sono rafforzati i legami di fraternità e sororità nella profondità e bellezza della comunione in Cristo».