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Friedrich Dürrenmatt, ateo e indagatore del pensiero cristiano

La casa editrice Adelphi ripubblica, nella traduzione di Margherita Belardetti (quella della storica edizione Feltrinelli era di Enrico Filippini, che ha tradotto, tra altri, Husserl e Benjamin), Il sospetto, uno dei fortunati romanzi “parapolizieschi” di Friedrich Dürrenmatt*.

Bernese, classe 1921 (come il poeta Kurt Marti, del quale è stato compagno di scuola), figlio di un pastore riformato, Dürrenmatt scrive i suoi due primi testi crime per ragioni economiche e li considera occasionali e qualitativamente “minori”. In realtà, si tratta di una decostruzioni assai creative dei canoni tradizionali del poliziesco, allora molto più rigidi e stereotipati di oggi. Negli anni successivi, questi libri concorreranno alla fama mondiale del loro autore, insieme ai drammi che sono considerati i suoi capolavori: La visita della vecchia signora e I fisici.

Protagonista è il commissario Hans Bärlach, ormai con i giorni contati a causa di un tumore allo stomaco, che però gode di una tregua nella lotta contro la malattia. Ne Il giudice e il suo boia, uscito a puntate in un settimanale tra il 1950 e il 1951 e poi rielaborato per la pubblicazione nel 1952, Bärlach affronta una vecchia conoscenza, in un duello centrato sul classico tema dell’omicidio come affermazione del delirio umano di onnipotenza. Il commissario stesso, però, non si presenta come eroe immacolato, bensì come giustiziere (più che vero e proprio giudice) che, appunto, si sceglie un “boia” per eseguire in modo criminale la propria sentenza, prima di liquidare, indirettamente, ma con glaciale efficacia, anche quest’ultimo.

Il sospetto (anch’esso apparso dapprima a puntate, tra il 1951 e il 1952, e poi in volume nel 1953) presenta, in termini più classici, la lotta contro il male assoluto, incarnato dall’ex medico nazista Emmenberger, ora a capo di una lussuosa clinica zurighese. Anche in questo caso echeggiano i miti del superuomo e il tema della libertà in un mondo senza Dio e per questo, secondo Emmenberger, senza etica. Mentre altri romanzi “gialli” di Dürrenmatt (oltre a Il giudice e il suo boia, va ricordato La promessa) avranno svariate trasposizioni filmiche, per Il sospetto esiste solo un memorabile sceneggiato italiano di Daniele D’Anza, con Paolo Stoppa nella parte di Bärlach e Adolfo Celi in quella del perfido Emmenberger (1972): lo si può rintracciare su You Tube e ne vale la pena.

Il confronto con la tradizione cristiana è, in Dürrenmatt, costante. Il suo lavoro d’esordio, il dramma Sta scritto, è dedicato alla tragedia del regno anabattista di Münster (1535). Il teologo Karl Barth assiste, nel 1948, alla prima rappresentazione de Il cieco, e crede di constatare un rapporto tra il drammaturgo e alcune tesi del famoso commentario all’Epistola ai Romani. Ritenendo che Dürrenmatt dovrebbe conoscere anche il seguito della sua riflessione, Barth gli dona una copia della Dogmatica ecclesiale. Lo scrittore, in effetti, legge con attenzione le opere del teologo e il suo esemplare dell’opus magnum è corredato da puntuali annotazioni in margine. Nel 1965, egli comunica a Barth la morte del padre, anch’egli ottimo conoscitore delle opere del professore di Basilea, benché orientato diversamente, sia in politica sia in teologia. Nella sua risposta, Barth auspica, nuovamente, che Dürrenmatt ponga attenzione, oltre che agli aspetti dialettici e critici del pensiero barthiano, alla lieta affermazione del «sì» di Dio al mondo e all’umanità, che domina, ad esempio, gli ultimi volumi della Dogmatica. In realtà, Dürrenmatt passa da un atteggiamento agnostico e critico nei confronti della pietà protestante tradizionale (per lui rappresentata dalla figura paterna) a un deciso e piuttosto acido ateismo. La dottrina barthiana relativa al male gli appare «insostenibile dal punto di vista logico» e il cristianesimo, come la religione in generale, è considerato, negli anni maturi, un disperato tentativo di esorcizzare la paura della morte. Proprio Barth, secondo una dichiarazione del drammaturgo, avrebbe contribuito a fare di lui un ateo: il tentativo di “pensare” il cristianesimo, infatti, gli toglierebbe l’autentico nerbo, che risiederebbe nel carattere “cieco” (si ricordi proprio il dramma Sta scritto del 1948) della fede.

A differenza però di quanto accade, a esempio, in molta pubblicistica italiana (o piuttosto: italiota) di questi anni, quello di Dürrenmatt è un ateismo teologicamente competente, il che lo rende interessante. Il sospetto ne evidenzia le ragioni e al tempo stesso la vertiginosa pericolosità: che di per sé non può essere, evidentemente, un argomento a favore di Dio, ma che nemmeno si può impunemente esorcizzare mediante luoghi comuni che vorrebbero essere “illuministi”, ma in realtà denunciano miopia intellettuale. In ogni caso, una lettura indimenticabile.

* F. Dürrenmatt, Il sospetto, trad. di Margehrita Belardetti. Milano, Adelphi, 2022, pp. 120, euro 15,00.

 

 

 
Foto di ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv F. Dürrenmatt (a destra) con l’altro grande scrittore svizzero Max Frisch