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«Nuove strade in mezzo ai deserti umani»

Il pastore Marcelo Nicolau da febbraio 2022 è il nuovo moderador dell’Iglesia valdense del Rio de la Plata. Nato a La Paz, Entre Ríos, in Argentina 53 anni, sposato, padre di 3 figli, ha svolto il suo ministero pastorale sia nelle lande del suo paese d’origine che in varie regioni dell’Uruguay ed aveva già svolto lo stesso incarico di moderatore dal 2009 2012. Lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata sulla condizione della chiesa valdese in Sud America. 

Lei è già stato moderatore dieci anni fa; trova una chiesa diversa oggi?

«Nessuno si immerge due volte nello stesso fiume. Ci sono indubbiamente cambiamenti importanti, alcuni dei quali stavano già prendendo forma e il passare del tempo li ha consolidati, come il cambiamento del modello di chiesa, la trasformazione della leadership, la fine di un modello pastorale, la necessità di stabilire o rafforzare i canali di comunicazione con la società. Anche dal punto di vista finanziario, all’epoca c’era una crisi molto grande che con il tempo e l’aiuto di molte organizzazioni amiche nel mondo è stata superata e oggi abbiamo una situazione molto più equilibrata, sebbene ancora con vari elementi di rischio. Oggi, anche se non siamo ancora arrivati all’altra sponda del fiume – il ciclo di transizione ha ancora molti anni davanti a sé – cominciamo a vedere i frutti positivi di quella decisione di 25 anni fa (iscrivere i pastori ai sistemi di sicurezza sociale degli Stati). 

D’altra parte, ci sono esigenze e situazioni che cambiano nella forma, ma che mantengono un fondamento e una base comune. L’unità della Chiesa è sempre una questione importante, a causa della tensione storica tra il modello sinodale e quello congregazionale, ma anche perché ci sono forze sociali con diverse impronte politiche e ideologiche che sono in conflitto nella società, e la Chiesa non è immune da queste pressioni, per cui è logico che questo generi tensioni al suo interno. Tuttavia, c’è uno spirito di unità che prevale e che noi della Mesa valdense (Tavola valdese ndr) abbiamo la missione di sostenere e aiutare, con la presenza, il dialogo, l’ascolto e l’attenzione alla diversità delle voci e dei bisogni delle congregazioni».  

Il numero dei pastori è in calo, si cerca una maggiore partecipazione dei laici; come si può superare il modello attuale?

«La crisi della drastica diminuzione del numero di pastori non può essere vista in modo isolato, ma è direttamente collegata alla fine di un modello di chiesa che si sta esaurendo. Questo modello di matrice rurale, etnocentrico, chiuso, patriarcale, si sta lentamente rompendo e comincia a lasciare il posto a esperienze diverse di essere chiesa, che appaiono in germogli incipienti in molti luoghi. Mentre in alcuni luoghi il processo è chiaramente percepito, in altri c’è una stagnazione e una mancanza di visione che può sicuramente portare alla scomparsa delle comunità, perché proprio come accade in natura con le varie specie, di fronte ai cambiamenti del contesto, se non c’è la volontà di cambiare e la capacità di adattarsi al nuovo, si genera uno scenario favorevole all’estinzione di ciò che esisteva.

Credo, tuttavia, che ci sia una crescente consapevolezza di questa realtà e che ci siano ricerche che aggiungono un tocco di speranza all’inquietante grigiore della sterile nostalgia. In questo senso, mi sembra che ci sia una crescente responsabilizzazione della leadership laica, con molte persone formate e in grado di esercitare la leadership nelle rispettive regioni. Questo comporta anche alcuni rischi, ma stiamo lavorando per ridurli al minimo e per garantire che questo processo serva alla vita, alla testimonianza e al lavoro delle comunità. Nella nostra regione c’è molta tradizione in questo senso. Chiese che hanno vissuto per decenni grazie a una leadership laica forte, capace e profondamente impegnata. C’è anche la consapevolezza e la convinzione che il movimento valdese è in definitiva un movimento laico, prima ancora che una chiesa, e questo forse funge da elemento illuminante che dissipa la nebbia dei dubbi. In ogni caso, il futuro non dipenderà esclusivamente dalle nostre capacità, ma dall’opera d’amore che Dio compie con il suo Spirito, aprendo nuove strade in mezzo ai deserti umani». 

Lei ha denunciato in alcune interviste la deriva individualista della nostra società e, quindi, anche delle chiese che ne fanno parte. Qual è la ricetta per mettersi al riparo dall’egoismo e dalle paure personali?

«Non credo che esista una ricetta, ma piuttosto un atteggiamento che cerca e trova sempre strade alternative. Questo atteggiamento si basa sull’apertura all’incontro con l’altro, con il diverso, per scoprire che si ha sempre qualcosa da dare e anche da ricevere, e che in questo incontro ci sono scambi culturali e sociali, scambi di pensiero e di affetto che arricchiscono la nostra vita. Per questo dobbiamo riconoscere che le nostre decisioni sono fondamentali: come usiamo il nostro tempo, quanto tempo dedichiamo agli schermi e quanto all’interazione faccia a faccia? Questo è vero a livello di famiglia, quanto più a livello di società nel suo complesso!  Non c’è possibilità di costruire una vera comunità senza la consapevolezza che il tempo che abbiamo non è nostro, ci è stato dato, è un prestito che Dio ci fa generosamente, e quindi siamo chiamati a offrirlo, cioè a offrire noi stessi». 

Una nota lieta, mi sembra che ci sia una certa partecipazione dei giovani ai campi, ai progetti, c’è un desiderio di spiritualità nei giovani, magari applicato a temi a loro più cari? (tutela del Creato, giustizia sociale)​

«Ci sono sicuramente ricerche spirituali tra i giovani, che poi si traducono in scelte di vita importanti, valorizzando il tempo e la qualità della vita rispetto al denaro. Le questioni che lei cita sono nell’interesse e nell’attenzione delle nuove generazioni e costituiscono sfide importanti per la Chiesa, che ne è chiamata a rispondere. Tuttavia, non dobbiamo romanticizzare i giovani che sono anche il bersaglio dell’industria, della propaganda e della religiosità pagana del consumismo e del mercato. È molto bello, pieno di speranza e mobilitante quando sono i giovani stessi a generare movimenti di trasformazione sociale ed ecclesiale, come è accaduto in passato e come aspiriamo a far accadere in futuro. È un compito che abbiamo definito prioritario per la nostra Mesa: sostenere il movimento giovanile nelle sue varie dimensioni ed espressioni, sia in ambito valdese che nell’arricchente legame ecumenico». 

 

Il rapporto con l’Italia, sarà presente a questa assemblea sinodale?

«Facciamo parte dello stesso corpo, della stessa Chiesa, in continenti diversi e in contesti diversi. Credo che questo sentimento esista, ma anche che sia necessario coltivarlo, con azioni che rafforzino i legami e i vincoli che ci uniscono. In questo senso, è necessario riprendere i contatti e i progetti di visita, scambio, conoscenza e collaborazione reciproca che la pandemia ha dolorosamente interrotto. Per quanto riguarda l’assemblea sinodale, se Dio vuole parteciperò in rappresentanza della Chiesa evangelica valdese di Rio de la Plata».